RIFLETTENDO SUL VANGELO - DOMENICA XV DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Amare gli altri con l’amore di Dio

LETTURE:  Dt 30, 10-14;  Sal 18;  Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37

buon-sanmaritano
Facebooktwitterpinterestmail

Da alcune domeniche, seguendo e meditando il vangelo di Luca, siamo in compagnia di Gesù nella sua salita a Gerusalemme, ed ecco un altro incontro: questa volta tra Gesù e un dottore della Legge che vuole mettere alla prova il Maestro, ponendogli una domanda: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Lc 10,25).

L’esperto della Legge, però, di fronte a Gesù perde presto il suo atteggiamento di sfida e si mette in dialogo più profondo con Lui, e Gesù ci dona la parabola assai nota del buon Samaritano. Ed è il brano del Vangelo che leggiamo e ascoltiamo in questa domenica e che troviamo in Luca 10, 25-37.

Prima di tutto Gesù con l’invito al Dottore della Legge ad approfondire cosa appunto è scritto nella Legge, ci aiuta a fare unità dentro di noi e nella nostra vita eliminando un dualismo sul quale è facile incorrere. Infatti il più grande dei comandamenti, come ha ben risposto l’esperto della Legge, non dice: amerai il Signore tuo Dio con un po’ di anima, un po’ di cuore e un po’ di forze, mentre con l’altro po’ amerai il prossimo. Se così fosse dovremmo dividere il nostro cuore e le nostre forze e darle metà a Dio e l’altra metà al prossimo. Ma dice, invece, che dobbiamo occuparci ad amare Dio con tutto noi stessi, perché solo così ameremo veramente il prossimo in quanto lo ameremo con lo stesso amore di Dio che è in noi e solo così ameremo come Lui ci ha amati. Abbandonati, infatti, al solo amore naturale, siamo capaci di amare il prossimo al massimo finché ci è simpatico o ci fa comodo e poi facciamo tremendamente fatica ad andare oltre.

Ma quell’esperto che aveva voluto mettere alla prova Gesù, volendo giustificare la sua domanda iniziale, lo interroga di nuovo: “E chi è il mio prossimo?”. Ancora una volta Gesù non risponde direttamente perché, se acconsentisse alla domanda del suo interlocutore, dovrebbe dare una definizione del prossimo e così situarsi all’interno della casistica propria degli scribi e dei farisei, ai quali il dottore della Legge apparteneva. No, il prossimo non può essere rinchiuso in una definizione, perché in verità è colui che ognuno di noi decide di rendere prossimo avvicinandosi a lui. Con la parabola, in sostanza, Gesù dice che non è importante sapere chi è il prossimo, ma di ‘farsi prossimo’, di essere attenti, cioè, agli uomini che incontriamo. Potremmo dire che chi ama scopre il prossimo. Chi, invece, non ama non lo sa vedere, anzi fabbrica l’estraneo, il diverso scomodo, il tipo pericoloso da evitare. Nel diverso comportamento di coloro che incrociano lungo la strada colui che è caduto nella trappola dei briganti si manifesta, per così dire, il vero valore degli uomini. Il ‘sacerdote’ e il ‘levita’ segnati dalla loro funzione religiosa, passano senza fermarsi. Probabilmente non per insensibilità o per cattiva volontà, ma per la preoccupazione dell’impegno che dovevano assolvere. Non fanno alcun male, ma certo omettono di fare il bene. Il ‘samaritano’, invece, cioè l’uomo disprezzato, scomunicato, detestato dai giudei è l’unico che si mostra in sintonia con il Vangelo, non ci pensa su due volte e trova il modo per soccorrere quell’uomo assalito e ferito dai banditi. Con il suo modo di comportarsi ci fa capire e ci mette in guardia dal pensare che la misericordia, sia solo un sentimento, una commozione profonda che ci coinvolge alle viscere e al cuore. Certamente è originata da tale sentimento, ma deve poi tradursi in un’azione, in un comportamento, in un fare misericordia, in un fare gesti di amore.

In sintesi il messaggio sempre attuale di questa pagina di Vangelo non può essere che questo: per avere la vita eterna occorre amare Dio con tutto il cuore e, inseparabilmente, amare il prossimo. In che modo? Lasciandoci guidare dalla compassione che ci rende “vicini” e solidali ad ogni uomo, pronti a “usargli misericordia”.

don Danilo Marin