SGUARDO PASTORALE

Vita comune e fraternità

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Ritorno sulla questione della vita comune dei presbiteri diocesani sollecitato dalle riflessioni e testimonianze portate in assemblea del clero nel primo incontro di formazione di questo mese di maggio. Il tema è stato ripreso, su invito del vescovo, per verificare le esperienze in atto e per rilanciarne l’esigenza. Dalla presentazione in assemblea ritengo siano emersi degli aspetti interessanti che ne hanno tratteggiato i punti di forza e i punti di debolezza. Ritengo significativa la consapevolezza che la vita comune è una dimensione che va sempre costruita, un cantiere sempre aperto, perché non può nascere e fondarsi solo sulla convenienza di motivazioni pastorali (soggettivamente sempre più o meno condivisibili) ma nascere anche dal cuore delle persone coinvolte, cioè dalla loro scelta interiore nella quale si gioca la loro libertà. Quindi è vero anche che la vita comune non è uno schema che può essere semplicemente applicato come se vi fossero solo delle tecniche psicodinamiche da vivere e gestire oppure delle accortezze precontrattuali da chiarire prima di inserirsi in un contesto di vita comune. Senza dubbio la qualità delle relazioni fra i soggetti di una comunità va coltivata e non escluderei “a priori” anche attraverso l’aiuto di una persona terza, almeno nella fase iniziale, con l’intento che il gruppo impari a conoscersi e a gestirsi nella valorizzazione di ogni membro. Dipenderà anche dalla praticità, dalla opportunità e dall’impegno dei singoli. Però a nostro parere, e così sembra emerso dalle testimonianze, ad un certo punto è necessario fare un passo in più: quello che libera il cuore e le energie accogliendo la vita comune, cioè accorgendosi e accogliendo l’altro o gli altri con i quali viviamo. Ci accorgiamo anche di possedere molti strumenti per vivere bene insieme: virtù umane e virtù cristiane; un ministero che ci accomuna; la centralità del rapporto con Cristo nel quale ci sentiamo radicati. Rimane sicuramente la domanda se la vita comune sia necessaria per vivere il ministero presbiterale. Nell’articolo precedente già citavo PO 8, nel cui testo si incoraggia a vivere una certa vita comune o una qualche comunità di vita; ma anche in LG 28 si afferma che: “In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un’intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità”. Nei più recenti testi sulla fraternità presbiterale la vita comune è presentata come una opportunità che giova alla vita presbiterale e alla testimonianza nell’esercizio del ministero. Alcuni direbbero che non siamo, allora, in presenza di una risposta affermativa inequivocabile alla domanda che ci siamo posti. Ma possono spingersi a dare una risposta negativa? Ricordo la distinzione sopra citata in PO 8 fra vita comune e comunità di vita: non è un gioco di parole ma una fine distinzione che ci permette innanzitutto di capire che parliamo di una qualità delle relazioni e non di una “struttura della vita” alla stregua o ad imitazione delle comunità religiose (il testo di PO 8, infatti, subito chiarisce anche che tutto questo può assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali). Siamo convinti di ciò che affermiamo in forza di uno sguardo attento alla trattazione del tema nel decreto conciliare: ciò avviene solo dopo aver trattato e approfondito una questione altrettanto concreta: quella delle fraternità sacramentale. Vita comune e comunità di vita indicano due espressioni alte di fraternità presbiterale, ma è quest’ultima l’anima di ogni relazione del presbitero con gli altri fratelli presbiteri. In essa si gioca la libertà e la maturità dell’individuo (LG 28). Infine, ci sentiamo di affermare che la testimonianza di una vita fraterna è necessaria anche per un fecondo ministero pastorale perché le relazioni tra presbiteri e fedeli battezzati saranno sostenute da un esercizio comune della carità che si modella sulla figura centrale di Cristo.

don Simone Zocca