SGUARDO PASTORALE

Lex orandi,lex credendi

Lex_orandi
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Letteralmente: “la legge della preghiera è la legge del credere”, oppure potremmo parafrasare “il contenuto e il modo del pregare è il contenuto e il modo del credere”. Da una breve ricerca l’espressione sembra attribuibile a Prospero d’Aquitania, che visse tra il 390 e il 430 circa, in un suo scritto contro il Pelagianesimo. L’espressione è diventata un vero e proprio principio teologico ed è ripresa dal catechismo della Chiesa cattolica al n. 1124, nel quale si esplicita: “La legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega”. Di qui l’importanza di attendere incondizionatamente ai principi ispiratori della riforma liturgica, ma su questo magari avremo modo di ritornarci più avanti.

Mi sono riferito a questo antico principio per poter introdurre una iniziale riflessione di tipo liturgico-pastorale che ci possa orientare nei nostri consigli pastorali parrocchiali nel momento della verifica della vita liturgica delle nostre comunità, in vista di qualche possibile e necessario cambiamento. Spesso i cambiamenti che vengono introdotti nelle prassi o nelle abitudini liturgico-pastorali di una parrocchia non sono accolti per l’idea che vogliono comunicare ma solamente come un ulteriore taglio; questo crea malumori e non facilita il lavoro nemmeno all’interno degli stessi consigli pastorali, nei quali non si chiede che si arrivi a decisioni prese all’unanimità o a maggioranza ma a decisioni condivise e prese in spirito di sinodalità cioè con l’intenzione di aderirvi personalmente (seppur nella fatica di maturare una convinzione o un’idea non propria) e di facilitare l’adesione di tutti i fedeli della comunità.

Mentre il principio lex orandi lex credendi punta a far tesoro della liturgia, così come l’abbiamo ricevuta dagli Apostoli e dalla Tradizione della Chiesa, perché è la preghiera (il rapporto personale e comunitario tra l’uomo credente e Dio) che dà forma alla testimonianza della fede, e questo implica un rinnovamento serio e coraggioso a volte, oggi capita di scontrarsi con una lettura travisata del motto con la quale si afferma una stortura: e cioè che, a prescindere dal valore di educare al cuore della vita liturgica, vada valorizzato ciò che continua ad attirare più persone.

Penso concretamente ad un’esperienza personale e cioè alla fatica di proporre in parrocchia la centralità del triduo pasquale rispetto ad altre pratiche di pietà: ogni spostamento di orari delle celebrazioni o ogni cambiamento di modalità nel vivere le Quarantore o la via Crucis rischiava di essere vissuto con malumore. Non mi inoltro nel proporre una soluzione perché diverse possono essere le soluzioni: bisogna infatti tener conto del cammino spirituale di ogni comunità e, quindi, anche di una gradualità nell’azzardo meditato di una proposta diversa. L’esempio che ho portato desidero rimanga un esempio e non diventi il caso. Ciò a cui, però, inviterei a non rinunciare, imprescindibilmente, è il desiderio di guardare avanti con lo sguardo delle sentinelle e la sapienza dei profeti. Quando ci troviamo di fronte alla responsabilità di fare delle scelte nuove rifacciamoci innanzitutto, e con rigore, a quello che la Chiesa ci ha trasmesso e ha maturato in termini di riflessione. Mi permetto allora di ricordare, citandole semplicemente, quattro delle cinque norme per pensare agli adeguamenti liturgico-pastorali: preferire la celebrazione comunitaria a una individuale o privata, e per celebrazione comunitaria si intende una celebrazione caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli; la dignità della celebrazione liturgica, ognuno svolga ciò che è di sua competenza e, direi anche, che ognuno sia competente e si senta responsabilizzato ad esserlo per ciò che può svolgere; l’educazione allo spirito liturgico, coltivare cioè il desiderio di vivere la liturgia nel servizio di tutto il popolo di fedeli; la partecipazione attiva dei fedeli, cioè che la liturgia sia partecipata a partire dalla preparazione. Il quinto principio, lo ricordo più per completezza, riguarda la liturgia e le condizioni sociali dei fedeli e chiede che non si facciano preferenze di persone in base alla loro condizione sociale. Proviamo allora a ripensare assieme, già nei consigli pastorali, ciò che vogliamo proporre a partire da questi punti di riferimento in modo che possano maturare, di volta in volta, proposte pastorali che facciano crescere le nostre comunità.

don Simone Zocca