SGUARDO PASTORALE

La confessione natalizia

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In questi giorni prenatalizi sto passando la maggior parte del tempo ad incontrare le persone che chiedono di potersi “confessare”. È l’espressione con cui definiscono un dialogo più puntuale e prolungato che si conclude con la preghiera e l’assoluzione sacramentale. Ha le caratteristiche della celebrazione, anche se condotto in ambiente non necessariamente sacro, e dell’incontro familiare.

Emerge il desiderio di raccontarsi e di confrontarsi, facendo riferimento anche a percorsi condivisi da anni, nella ricerca di gettare un po’ di luce all’interno di un groviglio di situazioni e sentimenti provocato da una vita frenetica, difficile da controllare, o da eventi inattesi che fanno saltare tutte le nostre programmazioni.

Al di là dell’ascolto, che ha un suo particolare spessore, sento di non dover dare delle risposte, anche perché non ci sono o non sono richieste, ma di creare il giusto contesto di queste confidenze, gioiose o dolorose che siano.

Questo sì ha una sua sacralità. È data innanzitutto da un clima di fede, per cui ci si mette e ci si sente alla presenza del Signore, la cui paterna tenerezza viene espressa non solo dal ministero della riconciliazione affidato al presbitero ma anche dalla sua accoglienza, dalla disponibilità, dalla pacatezza dell’eloquio.

Poi dai riferimenti biblici, soprattutto evangelici, che permettono uno sguardo particolare sulla realtà e quindi un giudizio non appiattito solo sul buon senso, sui luoghi comuni, e tanto meno su maldestri tentativi di improbabili analisi psicologiche.

Se c’è un elemento antropologico da tener presente è invece quello dell’empatia, della capacità cioè di porsi in maniera immediata nello stato d’animo della persona che ti parla, condividendone i sentimenti, anche senza lasciarsi coinvolgere emotivamente così da conservare la necessaria obiettività nel discernimento. Molto importante è anche il richiamo ai “fondamentali” della vita cristiana: la fiducia nel Signore che ci abita con il suo Spirito, la speranza nel compimento delle sue promesse dalle quali prendono senso il coraggio e la pazienza, l’esercizio della carità come percorso di una vita convertita dall’asfissia dell’egoismo al respiro dell’attenzione, della solidarietà, del dono.

Un uomo maturo ti parla per lo più del suo lavoro, una mamma dei suoi figli e dell’impegno educativo, i coniugi del ménage familiare, i giovani degli affetti e delle tempeste umorali che li accompagnano, i ragazzi dei loro entusiasmi, gli anziani dei loro ricordi e degli interessi che ancora li tengono ancorati alla vita. Sono tutte situazioni attraversate dall’importante questione delle relazioni.

Prenderle in esame e verificarne l’autenticità sulla base di alcune inderogabili convinzioni costituisce il fulcro di un dialogo sanante e costruttivo. Emergono durezze, rivendicazioni, sopraffazioni, strumentalizzazioni, rifiuti su cui invocare comprensione e misericordia. Si scoprono slancio, dedizione, rispetto, indulgenza, spirito di servizio di cui rendere grazie per il contributo che offrono alla costruzione di una comunità più umana e cristiana.

A partire da questo sguardo profondo e sincero sorge l’esigenza di verificare anche il proprio rapporto con il Signore e la Parola, nella preghiera, nella celebrazione domenicale, nella partecipazione a momenti formativi, catechistici e spirituali, così come nell’impegno dell’annuncio e della testimonianza. Se poi tutto questo non ci si riduce a recuperarlo nella sola occasione del Natale ma diventa programma di crescita personale e comunitario, c’è ancora spazio per coscienze formate e gesti profetici.

don Francesco Zenna