SGUARDO PASTORALE

La conversazione interiore

san-pieretto
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Chi l’ha scoperto lo frequenta regolarmente. C’è un luogo dove puoi entrare liberamente a qualsiasi ora del giorno e gustare il silenzio. Ti lasci alle spalle il rumore della strada, dei negozi, del vociare confuso della folla e ti trovi nella penombra davanti a un artistico Crocifisso settecentesco che domina lo spazio di un tempietto gotico del 1400. Naturale sedersi in uno degli scanni laterali e immergersi in quel clima spirituale reso eloquente dalla delicatezza delle luci e della musica soffusa.

A volte torno dall’ufficio con la testa frastornata da tutte le problematiche affrontate, per lo più di carattere tecnico ed economico, e mi fermo per una decina di minuti. Resisto alla tentazione di estrarre subito la corona del rosario, lo farò più tardi, e mi metto in ascolto della voce che parla dal profondo del mio io. Riferendosi a Renzo, il ragazzotto dei Promessi Sposi ingenuo ed impulsivo, dedito a mettersi sempre nei guai, nel capitolo finale della sua opera il Manzoni scrive: «E prese un po’ più d’abitudine d’ascoltar di dentro le sue parole, prima di proferirle». Ecco un’operazione che dovremmo fare spesso per ritrovare il nostro equilibrio, sanare le relazioni, acquistare fiducia e motivazione.

In un articolo apparso qualche giorno fa sul “Corriere della sera” D’Avenia la chiama “conversazione interiore”. Non si tratta di un monologo introspettivo, ma di un vero e proprio dialogo con se stessi, le proprie convinzioni e le proprie paure, le proprie idee e i dubbi che ti sorgono quando ti lasci condizionare dalle opinioni. È necessario entrare nella stanza del silenzio, nell’intimità del cuore, dove conta più quello che senti di quello che sai, dove risuona una voce che chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male. Nella riflessione teologico pastorale questa stanza del silenzio viene chiamata “coscienza”: «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS,16).

Questa è la ricchezza della preghiera: non un insieme di formule da ripetere come un mantra, né una litania interminabile di richieste, ma esperienza di una relazione d’amore al cui centro è incastonata la perla preziosa della fiducia, dell’affidamento. Di Francesco d’Assisi, amante dei lebbrosari ma ancor più degli eremi, il biografo Tommaso da Celano diceva che «non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente».

Anche l’incontro con un ministro della riconciliazione può assumere opportunamente questo risvolto: non l’elenco scrupoloso dei propri errori ma la condivisione di quel senso di fragilità e di impegno che viene a svilupparsi nell’incontro con il Signore attuato nel profondo di se stessi. Potrebbe essere proprio questo il ruolo chiesto oggi al confessore, già accostato come ministro della misericordia, quello di guida nel cammino verso la propria interiorità. Nell’esercizio di questo ministero viene richiesta la grande dote dell’ascolto. E succede che un penitente comincia a parlare e avverti che sta parlando con se stesso, in quel colloquio interiore il cui interlocutore non sei tu ma quella percezione del proprio io che mette in ordine, risana, riconcilia appunto.

don Francesco Zenna