SGUARDO PASTORALE

Fare memoria

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Una cena tra amici. Tre generazioni. Una scia di ricordi. Gli ingredienti giusti per un’analisi dell’animo umano. Tanta soddisfazione per i risultati raggiunti, il giusto rimpianto delle occasioni sprecate, una non tanto celata amarezza per i torti subiti e le persone, tutte le persone che si sono incontrate. Ecco, forse è questo il lato debole dei ricordi, perché si fatica a considerare l’importanza che esse hanno avuto nella propria crescita e si indugia piuttosto a considerare i limiti, le fragilità e gli inevitabili errori.

Ora che siamo esperti camminatori abbiamo dimenticato il giorno in cui qualcuno, tenendoci per mano, ci ha fatto fare i primi passi. Oppure, sì, lo ricordiamo, assieme alle prime cadute e riprese.

Ma non consideriamo sufficientemente il valore di quelle braccia aperte che ci dicevano: “Vieni, non avere paura, ci sono io”. Più che la tecnica dell’incedere trasmettevano la fiducia nella vita che permette di guardare avanti, e non solo dove si posano i piedi. Chi mi ha insegnato a camminare, poiché io incarno la generazione più avanti negli anni, ormai non c’è più. Rimane una foto, un oggetto, una frase. E dopo di me neppure questo. Tutto perduto? Si inserisce qui il concetto di memoria.

Ciò che tu sei è frutto della presenza nella tua vita dei genitori, degli insegnanti, degli educatori, dei sacerdoti. La macedonia così ben preparata e presentata rivelava un previo lavoro dallo stile certosino. “La preparava così anche papà. Eravamo spesso in conflitto ma qualcosa ho preso anch’io da lui”. Non solo il culto per la macedonia, aggiungiamo noi, ma anche l’amore alla precisione, l’intransigenza nel compimento del proprio dovere, l’acribia nell’affrontare i problemi, da quelli tecnici a quelli relazionali.

La memoria non si esaurisce nel ricordo ma corre sui binari della continuità, e permette di tener vivo l’impianto della personalità di chi ci ha educato. Guardavo la foto tessera fatta scattare per il rinnovo della carta di identità. Me lo dicevano in tanti: assomigli moltissimo a tuo padre anche fisicamente, cammini come lui, sorridi come lui, affronti la vita come l’affrontava lui. La cosa mi fa piacere, ma nello stesso tempo considero che la mia presenza nella vita degli altri è carica di responsabilità e portatrice di quelle peculiarità che rimarranno nel tempo e nelle generazioni. Fare memoria significa vivere delle esperienze fatte, delle conoscenze acquisite e soprattutto delle persone incontrate. Lasciare una buona memoria è l’impresa da compiere.

Riflettevo che il termine memoria si usa in teologia per definire il mistero della presenza viva del Signore che continua nel tempo la sua azione salvifica. I sacramenti sono memoria della volontà salvifica di Cristo Gesù e, nel momento in cui si celebra questa memoria, la volontà viene compiuta. Pensare che il compimento passa attraverso il nostro vissuto, le nostre scelte, le convinzioni maturate e i valori trasmessi, fa assurgere la vita a strumento di cui il Signore si serve per realizzare il suo regno nella storia e per l’eternità. La memoria è chiave interpretativa della vita, fare memoria e lasciare una memoria il segreto della sua fecondità.

don Francesco Zenna