Appunti dal meeting dei giovani - Meeting per l’amicizia tra i popoli

I giovani: cuore pulsante

“C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”

Meeting-2018
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Il vostro cronista decide di essere parte per l’ennesima volta, la XXXIX, del Meeting di Rimini facendosi guidare soltanto dalla curiosità di dare una risposta al titolo da cui trae origine la riflessione di quest’anno: ‘Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice’.

Appare molto chiaramente quest’anno come un soggetto giovane, fatto da ragazzi e ragazze alle prese con gli studi universitari o con il primo lavoro, provenienti da mezzo mondo, porti il peso dell’organizzazione di una kermesse che non ha eguali in Europa. In sala stampa mi imbatto in una delegazione di volontari indonesiani che un collega giornalista sta intervistando: da tre anni cercavano di partecipare al Meeting e finalmente ce l’han fatta, perché anche economicamente è stata una bella impresa, ma quello che sta capitando li ripaga dei loro sforzi. I giovani quest’anno non solo hanno la cura dell’allestimento e del funzionamento del Meeting ma sono anche il cuore pulsante di mostre, esperienze, racconti, tavole rotonde. Sembrerebbe che il testimone sia passato, che una generazione abbia accettato la sfida di far suo questo evento.

Per questo mi colpisce la mostra dedicata al ’68. Che ne sanno i giovani del ’68? Chi glielo avrà mai raccontato? E che cosa resta di quella stagione segnata senz’altro da un desiderio di felicità che rompeva gli argini e debordava sulle pubbliche piazze? Preparo la visione della mostra con un incontro di ascolto delle canzoni di quel periodo che squaderna il cuore di noi che allora avevamo diciott’anni. È la famosa canzone di protesta, sono i Beatles, ma prima di loro alcuni altri dimenticati artisti e perfino il nostro Gaber con la sua “Chiedo scusa se parlo di Maria” che è già una riflessione su quanto stava accadendo in quegli anni. “Vogliamo tutto” è invece il titolo della mostra che mi viene spiegata da una ventenne che cerca di cogliere la dialettica fra tradizione e innovazione, il rapporto padri-figli che segnava quella sorta di rivoluzione antropologica che forse, a 50 anni di distanza, potrebbe segnare anche l’attuale cambiamento d’epoca.

All’interno del Meeting c’è poi casa mia, cioè il mio gruppo di opere che da anni ha qui uno spazio, come una dimora in cui confrontarsi, riposare, scambiarsi progetti, incoraggiamenti o semplicemente un saluto. È il solito potente spettacolo di ambientazione dovuto alla fantasia creativa di Franco Vignazia che stavolta riproduce una scena di pesca tratta dal Vangelo e con un gioco di sovrapposizione può sembrare di essere lì sul lago di Tiberiade a vendere un libro o ascoltare un amico mentre Pietro sbarca furioso. E c’era, e c’è ancora lì a Cafarnao, un grande albero in riva sotto il quale ci si può sedere, sostare, ascoltare ancora la Presenza che rende l’uomo felice. Questa degli stand nel Meeting è la scommessa che ci sia uno spazio di incontro nel grande incontro ed è una buona spiegazione del titolo. Mi commuove Chiara, fiorentina, che racconta la cupola del Brunelleschi (nella foto), ricostruita in scala, con passione autentica come parlasse di casa sua, anzi di se stessa. Un prodigioso cantiere messo su dal Brunelleschi che fa una cupola su Santa Maria Del Fiore che è tuttora un bel mistero di ingegneria. Cantiere ‘aereo’ dove nel ‘400 si pensava alla sicurezza e al benessere di ciascun operaio, cantiere che diventa immagine della Chiesa stessa.

La mostra di Giobbe, rivolge l’attenzione alla contraddizione e al dolore. L’allestimento imponente dà una idea visiva dello schiacciamento che il dolore procura: una immensa pietra incombe sopra gli spettatori trattenuta dall’alto ad evidenziare la durezza del destino, le domande terribili sul dolore innocente. E il coraggio di indicare persone, testimoni contemporanei di questa lotta per il significato come Melazzini e don Bargigia mi conferma che Giobbe siamo noi. L’incontro conclusivo mi viene relazionato da un amico travolto dalla bellezza delle parole di alcuni testimoni coordinati da Silvio Cattarina: si tratta dell’incontro con alcune donne ucraine di “Casa volante”, storie di ordinaria devastazione, tra alcoolismo e orfanotrofi, “invalidità” e rifiuto, fino all’incontro con qualcuno che ridà un senso alla vita. “Casa volante” diventa il luogo di una nuova ospitalità, prima non appresa, dove queste donne si aiutano a trovare se stesse e il senso del loro dolore attraverso l’aiuto di alcune persone cristiane. Il dolore così è sovrastato dalla bellezza di una casa dove c’è qualcuno che ti aspetta. “Io voglio che la mia croce costruisca non che sia inutile, non serva a niente e a nessuno”.

“Chi è l’uomo che vuole la vita e che desidera giorni felici?” aveva chiesto Papa Francesco nel saluto al Meeting. E il grido di queste donne risponde: abbiamo incontrato gente felice e vogliamo essere felici, una forza di bene che costruisce il mondo. Ragazze che hanno sofferto tantissimo, messe a nudo e quindi hanno bisogno di un amore incarnato. L’amore di Dio non può essere un discorso.

Come sempre vince il Meeting… cioè la bellezza di una vetrata non si scorge che dal di dentro!

 Piergiorgio Bighin