Per una fede forte e coraggiosa

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XIII DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

LETTURE: Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29;  2 Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43

Per una fede forte e coraggiosa

Il brano evangelico di questa domenica (Mc 5, 21-43) è costituito da scene che si svolgono in rapida successione, in luoghi diversi. C’è anzitutto la scena sulle rive del lago in cui Gesù, attorniato da molta folla, incontra un tale che si getta ai suoi piedi e gli rivolge una supplica: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva” (v. 23). Subito Gesù si avvia con questo tale verso casa. 

La seconda scena si snoda lungo la strada: una donna che soffriva di emorragia si avvicina di nascosto a Gesù per toccargli il mantello, e si ritrova guarita (vv. 28-29). Mentre Gesù stava parlando con lei, dalla casa di Giairo vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?” (v. 35). Gesù che ha udito tutto, dice al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!” (v. 36).

Lo scopo dei racconti non è certamente quello di stupirci per quanto accadde, ma di dare un messaggio: Gesù è colui che è stato mandato nel mondo a dare Vita a chi lo cerca con fede.

Il vangelo di oggi, attraverso due racconti sapientemente intrecciati, mostra così le diverse maniere con cui l’uomo, nel suo bisogno, si rivolge al Signore.

Esse traducono concretamente il modo di andare da Lui.

Anche noi infatti, e soprattutto nel momento del bisogno, ricorriamo al Signore con le nostre povertà, le nostre ambiguità, con un modo tutto nostro di esprimerci, di pregare, di invocare…

Due donne, oggi, ci mostrano che cosa la fede ottiene, quale dono è accordato a questo misterioso azzardo di cui è capace l’animo umano quando, spogliato e ridimensionato dall’avventura di vivere, si apre alla scoperta di una vita più grande. E anche a noi, come a Giairo e alla donna che ha toccato il mantello, Gesù dice di “continuare ad avere fede” e “la tua fede ti ha salvata”.

Ancora oggi, noi che cerchiamo Gesù, andiamo a lui gridando il nostro bisogno e, anche se in preda alla vergogna del nostro peccato, non dobbiamo temere nulla: è sufficiente che manifestiamo con cuore sincero il contatto e la relazione con Lui, “il Santo di Dio” (cf. Mc 1,24; Lc 4,34; Gv 6,69), per essere da lui purificati, guariti e santificati.

Per solcare i sentieri spesso tortuosi della vita, per comprendere il perché di certi momenti che incontriamo nel nostro quotidiano, per essere capaci di vedere il bicchiere mezzo pieno invece di rammaricarci sempre e soltanto di quello mezzo vuoto, per accettare alcune “sberle” che riceviamo, a volte, dalle persone che ci pestano i piedi, o dagli avvenimenti a cui ci capita di assistere, occorre possedere quella luce che si chiama fede per scoprire la presenza di Gesù che come buon Samaritano ci passa accanto e, prendendoci per mano, ci ripete, qualsiasi sia la porzione di dolore che portiamo dentro, la porzione di morte che alberga nel nostro animo, come alla bambina del vangelo: “Talità kum. Fanciulla, io ti dico: alzati!” (v. 41).

Allora ci rendiamo conto che è segno di fede cercare il Signore per chiedere aiuto soprattutto nelle difficoltà, ma è segno di ancora maggior fede affidarsi a Lui con fiducia, alla sua volontà, alle sue modalità, ai suoi tempi, nella certezza del suo amore infinito.

Fu chiesto un giorno a Paul Claudel, celebre scrittore e instancabile lettore, che aveva perso la vista, quale fosse il significato della vita, ed egli rispose: “Non ho più nulla. Però mi sono rimaste le ginocchia per pregare” (M. Orsatti).

Chiediamo allora con insistenza al Signore la fede che ci è stata data in dono nel Battesimo e che siamo chiamati a coltivare giorno per giorno manifestando la gioia di dar credito incondizionato alla persona di Gesù che è venuto perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cfr. Gv 10, 10).

È la preghiera che suggeriva Papa Francesco in un suo recente discorso: “Signore, grazie tante per la fede. Custodiscila, falla crescere. Che la mia fede sia forte e coraggiosa. E aiutami nei momenti in cui devo renderla pubblica. Dammi il coraggio”.

don Danilo Marin

 

Nuova Scintilla n.26 – 1 luglio 2018