Portare Gesù in mezzo al suo popolo

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NELLA GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA E DEL MANDATO AI MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE

L’omelia pronunciata dal vescovo Adriano domenica 5 febbraio: preziose indicazioni

Portare Gesù in mezzo al suo popolo

Riportiamo il teso integrale dell’omelia che il vescovo Adriano ha tenuto nella celebrazione della vita consacrata, domenica 5 febbraio alle 17 in cattedrale, rivolgendosi ai consacrati e consacrate e poi ai ministri straordinari della Comunione che ricevevano il nuovo mandato.

Oggi siamo qui riuniti per pregare per le donne e gli uomini della vita consacrata e invocare per loro la benedizione di Dio, oltre che esprimere il grazie della nostra Chiesa per la loro presenza e servizio. La giornata per la vita consacrata è una buona opportunità per ricordarci che tutti siamo invitati ad approfondire progressivamente la nostra relazione con il Signore e rinnovare la nostra disponibilità al servizio al vangelo in obbedienza. I religiosi servono il vangelo secondo il carisma proprio di ogni istituto, nato in un tempo particolare, per servire Gesù, il Vangelo e i fratelli in quel tempo. Ogni carisma però rimane creativo e aperto allo Spirito per rispondere in modo sempre più adeguato agli appelli di Dio nei diversi tempi della storia. La fedeltà al ‘proprio carisma’ non deve mai diventare una ingessatura del vangelo e il ‘fondatore’ non diventi mai più importante del vangelo stesso e dello Spirito che anima e guida la Chiesa.

A tutti è richiesto continuo ascolto e rinnovata comprensione del carisma e del ministero, docili allo Spirito Santo nel discernere il nostro servizio a Gesù e al Vangelo oggi. Riporto qui un tratto dell’omelia tenuta da papa Francesco il 2 febbraio. “Questo atteggiamento renderà fecondi noi consacrati, ma soprattutto ci preserverà da una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione della sopravvivenza. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità. L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. La psicologia della sopravvivenza toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere spazi, edifici o strutture più che rendere possibili nuovi processi. La tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare… In poche parole, la tentazione della sopravvivenza trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione… Tutti siamo consapevoli della trasformazione multiculturale che stiamo attraversando, nessuno lo mette in dubbio. Da qui l’importanza che il consacrato e la consacrata siano inseriti con Gesù nella vita, nel cuore di queste grandi trasformazioni. La missione – in conformità ad ogni carisma particolare – è quella che ci ricorda che siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta. Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania”.

Cari fratelli e sorelle, il papa ricordava poi che portare Gesù in mezzo al suo popolo significa voler aiutare i fratelli a portare la loro croce, voler toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, non come attivisti della fede, ma come uomini e donne continuamente perdonati, uniti nel battesimo per condividere la consolazione di Dio con gli altri.

Questo riferimento mi dà lo stimolo per rilanciare il servizio che la Chiesa ha istituito già dal gennaio 1972 (istruzione Immensae caritatis), come prova della sua sollecitudine nei confronti di tutti i fedeli, e soprattutto dei malati, degli anziani e di quanti sono impediti di partecipare alla Messa, per consentire più facilmente la loro partecipazione piena al sacrificio di Cristo e ai suoi frutti salvifici con la Comunione, come pure per facilitare l’adorazione e il culto eucaristico in quei luoghi in cui non è facile avere a disposizione un sacerdote o un diacono per l’esposizione del SS.mo Sacramento. Per questo il Sommo Pontefice Paolo VI ha ritenuto opportuno costituire ministri straordinari che possano comunicare se stessi e gli altri fedeli, consentendo di intensificare il rapporto tra comunità cristiana e infermi incentrato sull’Eucaristia. La visita agli infermi e anziani da parte del ministro straordinario che reca loro il conforto dell’eucaristia, costituisce una forma e un momento prezioso di evangelizzazione vera e propria, sia nei confronti dei malati che dei familiari e di quanti li assistono. Inoltre, in caso di legittimo impedimento, il ministro straordinario della comunione può esporre pubblicamente all’adorazione dei fedeli la SS.ma Eucaristia, e poi riporla, naturalmente senza dare la benedizione. Son passati 45 anni da quel documento e oggi il numero dei presbiteri è molto, molto diminuito. Portare l’eucaristia a malati e anziani non è dunque ‘prerogativa’ esclusiva del sacerdote, ma è servizio di ogni cristiano disposto a farsi vicino a questi fratelli, e riconosciuto per tale servizio, portando loro la parola di Dio, anche in forma molto semplice (vangelo domenicale o altro), ascoltando le loro pene e offrendo loro qualche momento di preghiera (una decina del rosario, le litanie, altre semplici preghiere, qualche salmo) specie nello stesso giorno di festa o in altro giorno. Aiuterà il malato anche a disporsi a una preghiera penitenziale come il Confesso a Dio, l’atto di dolore, o altre semplici invocazioni (Signore pietà…) prima di ricevere l’eucaristia. Solitamente questi nostri fratelli e sorelle sono anime buone che, come si dice, “sono in grazia di Dio” non gravati dai cosiddetti ‘peccati mortali’. Va da sé che questo non esime il sacerdote da qualche visita e dall’offerta dell’opportunità del sacramento della riconciliazione, specie nel tempo di quaresima o pasquale o in occasione di qualche celebrazione comunitaria per loro in chiesa con la visita a chi non vi si può recare.

Sarebbe bene poi che le nostre chiese, anziché vederle sempre chiuse, potessero essere aperte per qualche ora di adorazione animata dal ministro straordinario della comunione, che aprirà il tabernacolo o esporrà l’eucaristia, guidando anche insieme con altri i momenti di preghiera comune e concludendo con l’invocazione comune della benedizione del Signore.

Tutto ciò che concerne la guida della preghiera, l’adorazione eucaristica, l’annuncio del vangelo e il portare l’eucaristia non è riservato esclusivamente al prete, per non impoverire spiritualmente sempre più le nostre comunità e famiglie. Mi auguro un più assiduo accompagnamento e cura di questi fratelli e sorelle che si rendono disponibili a questo servizio sempre più prezioso e necessario: meglio qualificarlo che abbandonarlo.

+ Adriano Tessarollo

Da Nuova Scintilla n. 7 – 19 febbraio 2017