Amò intensamente la sua Chiesa

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L’ULTIMO SALUTO A MONS.  ANTONIO ZENNARO. per molti anni rettore del Seminario e vicario generale

Amò intensamente la sua Chiesa

È stata quasi una Pentecoste anticipata. Clero, religiose e religiosi e molti fedeli laici (tra cui il sindaco Casson) sono convenuti in duomo, mercoledì 27 aprile, per rendere l’ultimo omaggio al decano del Capitolo della cattedrale mons. Antonio Zennaro. Hanno concelebrato con il vescovo mons. Tessarollo e una cinquantina di sacerdoti anche il vescovo mons. De’ Antoni e padre Guido M. Pietroguido assistente nazionale del movimento ‘Rinnovamento nello Spirito’; mentre si sono resi presenti spiritualmente il vescovo di Vanimo mons. Bonivento e i vescovi emeriti di Chioggia mons. Magarotto e mons. Daniel. Mons. Zennaro non era solo il membro eminente  del Capitolo per anzianità di nomina e di servizio, ma il sacerdote che ha affiancato per oltre un ventennio i vescovi Piasentini e Corrà tenendo ben orientato l’ago della bussola nei rivolgimenti del secondo Novecento: dalle alluvioni del Polesine al trapasso culturale segnato anche dal Concilio Vaticano II, dalla contestazione del Sessantotto alla rimonta del secolarismo.

Ha vissuto con noi cambiamenti che hanno rimodellato la pastorale della Chiesa e la vita dei suoi ministri. Il passaggio da una disciplina a carattere militaresco allo spirito di famiglia, dove ognuno verifica la propria ispirazione per essere fraternamente vicino a tutti; il passaggio dai panni regali al grembiule del servizio; e ancora il passaggio dal distacco dal mondo all’apprezzamento delle realtà terrestri non furono esperienze spontanee per nessuno.

Ma lui fu deciso nel consegnarsi in balia dello spirito innovatore: più di una volta abbiamo sorriso sornionamente di fronte a qualche sua presa di posizione che sembrava un trasformismo stagionale: la sostituzione del ‘don’ con la voce ‘padre’ premessa alla firma, la deposizione repentina delle infule canonicali, il trapasso dal rigorismo a una spontaneità improvvisata, l’assunzione di espressioni e di codici sensoriali nuovi ci parvero allora pose non sorgive, quasi scie di condensa degli aerei di reazione.

A ben pensarci erano in lui ricerca di essenzialità e di radicalità, volontà di essere in sintonia con la Chiesa e il Vangelo. Come rettore e insegnante l’avevamo conosciuto uomo di interiorità, ma intransigente nel censurare le nostre esuberanze e i tentativi vari di glissare. Voleva che noi alunni fossimo protesi al dovere, sul filo delle convinzioni e dell’entusiasmo.

Come vicario generale si sforzava di essere uomo di comunione (nonostante qualche asperità di carattere): si rendeva presente alle iniziative delle varie realtà ecclesiali, pur sperimentando la difficoltà di una convergenza comune verso l’unico regista della Chiesa, lo Spirito del Signore. Successivamente, la Casa di spiritualità ‘Madonna del Divino Amore’ lo vide all’opera quasi per frenare l’onda lunga del secolarismo: accoglieva gruppi di varia provenienza al di là delle sigle, anche se non nascondeva la sua predilezione per il Rinnovamento nello Spirito, lieto comunque di gettare contrappesi sulla bilancia della storia. Poi negli anni di quiescenza divenne un amico: la sua era un’amicizia fatta di sorriso, di interessamento e di apprezzamento; si percepiva che il profumo di quell’amicizia non poteva essere attenuato dalla ritiratezza e dall’apparente lontananza.

I lunghi anni della sua vita sono stati non solo anni di dedizione intensa alla diocesi di Chioggia e alla Chiesa, ma soprattutto – lo ha evidenziato lo stesso vescovo Adriano nell’omelia – tempo di preghiera assidua e di donazione generosa, per crescere nell’esperienza di Dio, alla scuola del Signore e nella docilità al suo Santo Spirito. Così ha scritto tra l’altro nel suo testamento spirituale: “La amo intensamente (la mia Chiesa Clodiense) e desidero morire in essa cantando ‘alleluja’ alla Trinità Santissima e a Maria, Madre dolcissima.

A tutti vorrei gridare che sono pieno di gioia per essere prete e morire da prete. (…) Ho compreso per esperienza che al di fuori dell’unità con il Vescovo e con il Presbiterio e al di fuori dell’unione con Dio, vissuta soprattutto nella preghiera, tutto è fallace”.  La sua forte spiritualità era dunque innervata dalla preghiera, come dono di Grazia per una speranza fondata sui valori alti della vita. E tutto questo ci fa credere che la Grazia sia stata per lui sorgente e coronamento del suo ritorno a Dio.

G. Marangon