Una nuova profezia

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lo sguardo pastorale

Una nuova profezia

La profezia per definizione è portatrice di novità. Lo pensavo durante la liturgia giubilare con cui il 2 febbraio scorso abbiamo celebrato la Giornata della vita consacrata e la conclusione dell’anno ad essa dedicato. Proprio perché è sensazione comune che essa abbia fatto il suo tempo! Tra le diverse vocazioni nella Chiesa quella della speciale consacrazione sembra presentare le maggiori criticità. Una prima criticità riguarda la sua immagine che passa per lo più attraverso la figura di suore, non più tanto giovani e contraddistinte da un vestito che nessun tentativo di aggiornamento è riuscito a rendere attuale.

Una seconda criticità è data dal servizio cui si dedicano le persone consacrate, nella maggior parte dei casi per nulla diverso da quello di tanti insegnanti, assistenti sociali, animatori o catechisti parrocchiali. Un’altra criticità viene dalle numerose e ampie strutture abitate dai consacrati o forzatamente abbandonate, alienate, trasformate magari in case per ferie, simili ad alberghi o piccole pensioni. Non va trascurata neppure la criticità costituita da alcune contro-testimonianze, addirittura di fondatori e fondatrici, che gettano ombra su alcune caratteristiche specifiche, quali la vita comune, la professione dei consigli evangelici, l’esercizio dell’apostolato.

In questo anno sono giunte, soprattutto da Papa Francesco, sollecitazioni importanti per il rilancio della vita consacrata: la riscoperta del carisma originario delle singole famiglie, il fondamento della relazione con Cristo, la testimonianza della gioia, la sfida della comunità, l’impegno missionario. In queste sollecitazioni non vedo il tentativo di accanirsi a tenere in vita una forma di sequela ritenuta superata, ma di individuare i caratteri di una nuova profezia di cui ha bisogno questo nostro tempo e la realtà stessa della vita consacrata. Innanzitutto il carattere della trasparenza. La vita consacrata va fatta conoscere nella sua essenza di sequela radicale del Maestro e non nella sua funzionalità pratica di stampella della pastorale. Nelle comunità cristiane va valorizzata per quello che comunica del messaggio evangelico, come una forma di realizzazione della persona e dei suoi desideri, un percorso accessibile a giovani in ricerca di senso, di interiorità, di dono. Poi il carattere della vicinanza. Avere messo il Signore al primo posto non allontana dalla vita della gente, dalle tensioni del vivere sociale, dagli interrogativi che oggi si pongono anche tanti credenti.

Per cui il primo apostolato dei consacrati risulta essere la capacità di ascolto, di calarsi dentro le famiglie, i gruppi, le coscienze, in atteggiamento non di richiamo e di giudizio ma di misericordia e di prossimità. Ancora il carattere della libertà. Né beni materiali, né posizioni ideologiche, né protagonismi ecclesiali devono condizionare nella ricerca dell’autenticità. Oggi è difficile farsi ascoltare, ma gli occhi di tutti sono puntati su chi professa di voler vivere le dinamiche evangeliche dentro il quotidiano, e diventa inevitabile rendere ragione della speranza che abita il consacrato e la sua presenza diventa luminosa e incoraggiante. Questa mia riflessione ha il carattere della ricerca e interpella sia i consacrati che le nostre comunità cristiane.

don Francesco Zenna