PAROLA DI DIO – Davvero quest’uomo era figlio di Dio!

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PAROLA DI DIO – Davvero quest’uomo era figlio di Dio!

Letture: (Mc 11,1-10)  Is 50,4-7; Salmo 22; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

Alla processione. Mc 11,1-10. “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.

La processione o benedizione delle palme è preceduta dalla proclamazione del brano dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, festeggiato dai suoi discepoli. Il racconto è la semplice descrizione dei preparativi e dell’entrata a Gerusalemme di un corteo di persone che accompagna Gesù seduto sul dorso di un asinello, cavalcatura che usavano tutti giudei del tempo nella vita quotidiana. Ma esso è descritto come cavalcatura del “re giusto, vittorioso, umile” dal profeta Zaccaria (9,9). I gesti e le parole degli accompagnatori esprimono il significato di ciò cui stanno prendendo parte. Il gesto di stendere i loro mantelli sotto gli zoccoli della cavalcatura di Gesù e di spargere sul terreno delle fronde (di ulivo) esprime il loro entusiasmo per la persona di Gesù, atteso Messia; le acclamazioni invece, sono rivolte a Dio a motivo del re-messia, che riconoscono in Gesù di Nazaret, Inviato da Dio e rivestito dei suoi poteri, come fu Davide, per liberare e redimere il suo popolo. Il punto culminante sono le acclamazioni messianiche: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli”.

S. Messa: 

PER LE SUE PIAGHE NOI SIAMO STATI GUARITI

Is. 50,4-7. “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso”.

Il brano del libro di Isaia è una confessione di fiducia di un fedele che ripensa alle sofferenze affrontate a causa della sua missione di ‘mediatore’, tra Dio santo e il popolo peccatore. Egli è stato  mediatore a prezzo della sua vita. Ma non è venuta meno anche nella tribolazione la fiducia, anzi la certezza, che in quella prova Dio lo ha sostenuto e lo ha fatto uscire vincitore. Questa esperienza narrata nelle Scritture ha accompagnato Gesù nella sua passione e ha illuminato anche i discepoli nel comprendere e raccontare la passione e morte di Gesù dalla quale Gesù risorto è uscito non ‘svergognato’ ma glorioso, ad opera del Padre.

Salmo 22. “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato”.

Un giusto perseguitato racconta gli insulti e gli scherni che subisce a causa del suo affidarsi a Dio. Ma egli proclama anche la sua certezza che a suo tempo il Signore, pur lasciandolo subire la prova, in essa lo sostiene e interverrà a liberarlo. Allora potrà raccontare anche questa esperienza di liberazione da parte di Dio. Questo salmo è stato pregato da Gesù durante la sua passione e sulla croce e lo ha sostenuto nella certezza dell’intervento del Padre, attuato nella sua risurrezione. Gli apostoli stessi ad esso hanno fatto riferimento nel raccontare e poi scrivere la passione e morte di Gesù vissuta nella fiducia piena e speranza certezza che il Padre lo avrebbe liberato. 

Fil 2,6-11. “Per noi fatto obbediente fino alla morte e alla morte di Croce”. 

La seconda lettura è ormai la comprensione che la comunità primitiva cristiana ha del mistero di Cristo e che Paolo riprende, in termini di abbassamento-esaltazione. Egli, dalla condizione divina si è fatto uomo e servo degli uomini, nel rivelare e compiere il progetto di Dio per la salvezza degli uomini. Dalla condizione di sofferenza, umiliazione e morte Dio lo ha liberato con la risurrezione e intronizzazione e lo ha costituito ‘causa di salvezza’ per quanti lo riconoscono e confessano come loro Signore e Salvatore.  

Mc 14,1-15,47. “Davvero quest’uomo era figlio di Dio”

Nel suo racconto, l’evangelista Marco affida principalmente a tre episodi il significato di tutta la vita e missione di Gesù, ma specialmente il significato della sua passione e morte. Essi sono l’ultima cena, la preghiera al Getsemani e la crocifissione. 

L’ULTIMA CENA (14,22-25). Il racconto dell’ultima cena è preceduto da un’altra cena, in casa di amici a Betania. Gesù ha consapevolezza della sua morte imminente, lo ha detto a più riprese, ma nessuno dei discepoli lo ha preso sul serio. Durante quella cena una donna irrompe improvvisamente e compie un gesto su Gesù che gli altri non hanno capito: ha intuito che Gesù sta andando incontro alla morte e che quella morte è determinata dall’amore. Per questo egli merita tutto l’amore che può esprimere un vasetto di profumo di trecento denari (circa la paga di un anno, mentre Giuda lo tradirà per trenta denari: un denaro è la paga di un giorno!). Ecco ora un’altra cena, con tutti i preparativi richiesti dalla cena pasquale.  Gesù giungerà in sala alla sera. Sa che la sua morte è decisa e si cercava il modo di catturarlo senza provocare tumulto di popolo. Giuda si offriva per questo e Gesù lo sapeva e lo annuncia. Gesù quindi spezza il pane e lo dà ai discepoli dicendo: “Questo è il mio corpo”; così pure dà il calice del vino dicendo: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti”. Agnello pasquale, pane da mangiare e vino da bere fanno emergere il senso del gesto e delle parole: la sua vita, fino all’atto estremo della morte, è il dono fatto agli uomini che realizza la Nuova Alleanza. L’esistenza di Gesù, la sua passione e la sua morte sono dono di Dio per la salvezza dell’uomo. E Gesù fa dono di se stesso a persone che lo stanno per tradire (“Nella notte in cui fu tradito, Gesù prese il pane…”, ricorderà Paolo in 1Cor 11,23). Gesù è dono per un’umanità peccatrice, per discepoli che lo stanno tradendo e abbandonando, per lo scopo di salvarli. L’invito poi “prendete e mangiate… prendete e bevete” diventa invito a condividere sia il frutto del suo dono, sia il suo farsi dono al Padre ed ai fratelli, come ha fatto lui!

LA PREGHIERA AL GETSEMANI (14,32-42).Rispetto a Matteo e a Luca, Marco sottolinea maggiormente la reazione umana di Gesù: paura, angoscia, quasi disorientamento. I personaggi di questo brano sono Gesù, il Padre e i discepoli. Gesù fa la spola tra il Padre e i discepoli. Marco fa notare il cambiamento che avviene in Gesù durante la preghiera: vi entra turbato ed angosciato e ne esce sereno e deciso. Tre volte Gesù ripete: “Padre, tutto ti è possibile, allontana da me questo calice. Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. Alla fine, Gesù torna dai discepoli, non chiede più “Vegliate con me” ma dice: “Alzatevi, andiamo”. Nella preghiera Gesù ha invocato Dio chiamandolo ‘Padre’ nella forma più familiare e confidenziale “Abbà” e definendolo ‘onnipotente’ (“tutto è possibile a te”). La sua è una lunga lotta interiore che si conclude nella consegna di sé stesso al Padre: “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”! Da questo momento ogni angoscia è superata. Con questo atteggiamento Gesù affronta la passione, fino al momento estremo della morte: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Con queste parole inizia il Salmo 22(21) che esprime all’inizio lamento,  ma che finisce con l’abbandono fiducioso in Dio. Sarà Luca a ricordarlo: “Alle tue mani Signore affido il mio spirito”.

LA CROCIFISSIONE (15,21-41). Marco sottolinea la solitudine di Gesù: il cireneo è ‘costretto’ a portare la croce di Gesù; le donne che avevano sempre seguito e servito Gesù ora lo osservano ‘da lontano’; i ‘passanti’ e i ‘sommi sacerdoti’ insultano Gesù pronunciando frasi che creano ancor più il senso di fallimento e di solitudine: né lui è capace di salvarsi né Dio viene a salvarlo; anche i due crocifissi con Lui, che partecipano alla stessa sorte lo insultavano (non c’è qui un buon ladrone). In questa solutine e fallimento la preghiera di Gesù è rivolta al Padre: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”, preghiera che lascia intuire anche l’affidarsi di Gesù al Padre (cfr. Sl 22,2). Ed ecco il punto culminante: il centurione romano, dopo che Gesù è morto, confessa: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”. C’è voluta la morte di Gesù perché finalmente si cominciasse a vederne i frutti. Proprio nel momento in cui tutto sembrava fallito l’opera di Gesù, la sua vita e la sua morte, cominciano  a portare i frutti: nasce quel popolo nuovo che riconosce Gesù in tutta la sua realtà e missione di Salvatore e Figlio di Dio.

+   Adriano Tessarollo

“da Nuova Scintilla n.13 del 29 marzo 2015”