Anniversario morte Vescovo mons Dino De Antoni

Quel suo ultimo sorriso

Amò sempre molto anche la sua diocesi di origine

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Ripensandolo a un anno di distanza dalla sua scomparsa, viene spontaneo ricordarlo come uomo di cultura, decisamente aperto alla pastoralità della Chiesa. La sua sete di conoscenza non gli permetteva di restare in superficie. Era attento alle novità librarie già dagli anni in cui si era colleghi nell’insegnamento in Seminario. Più di qualche volta passava anche dai nostri studioli per un saluto o uno scambio di pareri: era per lui istintivo sbirciare la bibliotechina; magari sfilava qualche saggio letterario o qualche testo formativo che gli appariva nuovo o comunque interessante.  D’altronde quelli erano anni, in cui volentieri ci si scambiava tra colleghi gli strumenti della cultura.    Fu per lui molto fertile il periodo in cui poté abbinare agli impegni pastorali e di docenza anche la frequentazione al gruppo di ricercatori di Storia socio-religiosa del Veneto a guida del prof. Gabriele De Rosa. Il metodo storico lo appassionò e lo portò a creare diverse monografie. Al lavoro di vicario generale della diocesi, dal 1988 al 1999, affiancò anche le sue ricerche su alcuni risvolti  della storia territoriale e diocesana, rimasti in ombra agli storiografi locali che l’avevano preceduto. Di fondamentale importanza fu la pubblicazione della Storia della diocesi clodiense (1992) – scritta in collaborazione col prof. Sergio Perini –, che va considerata come un attestato di amore alla sua diocesi di origine.

Chiamato al servizio episcopale nell’arcidiocesi di Gorizia, in altri modi testimoniò il suo attaccamento alla diocesi d’origine. Accoglieva sempre con grande cordialità i confratelli di Chioggia e gli amici che andassero a visitarlo, informandosi sui problemi del territorio, sulle scelte pastorali diocesane, sui confratelli ammalati o fragili.  Né mancava di rispondere prontamente, calibrando gli altri suoi impegni, quando fosse invitato dal vescovo di Chioggia a presenziare a qualche solennità religiosa (festa dei Santi Patroni, giubilei) o da amici e colleghi, interessati ad averlo per conferenze, per momenti di ritiro, simposi, presentazione di libri.

Quando divenne emerito del servizio episcopale a Gorizia e si trasferì nella parrocchia di Borgo S. Giovanni in Chioggia Nuova, avendo anche del tempo libero all’inizio della sua nuova esperienza, passò per un paio di volte dalla Biblioteca-Archivio della nostra diocesi. Sembrava sentisse nostalgia della sua precedente attività di ricercatore. Ci si lusingava che avrebbe trovato il tempo per continuare, ma i successivi impegni pastorali e i frequenti inviti a Gorizia per corsi di predicazione non glielo consentirono.

Il suo affetto alla diocesi di Chioggia lo manifestò anche consegnando personalmente al nostro Museo diocesano, qualche mese prima del decesso, diversi preziosi: anelli vescovili, croci pettorali, calici, un paio di bastoni pastorali, unitamente ad alcune mitrie, casule e indumenti liturgici personali (qualche oggetto gli era stato regalato dalla Città o da associazioni di Chioggia, in occasione della sua ordinazione episcopale).

Lo scorso anno, poco prima della metà di marzo si andò con un paio di amici a fagli visita a Gorizia. Per non stancarlo c’intrattenemmo con lui circa tre quarti d’ora, tenendo prevalentemente noi il bandolo della conversazione. Alla fine il saluto di addio. Io avevo indossato il soprabito e tenevo il cappello in mano per congedarmi . Mi guardò e mi fece un gesto di stupore accennando al cappello, come a dire: ”Col cappello?!”. “Vedi, don Dino, – gli risposi – dai personaggi eminenti si va in udienza con soprabito e cappello”. Lui mi prese dalle mani il cappello, se lo mise sul capo e sorrise, mentre io mi affrettavo a fissare nella fotocamera del cellulare quell’ultimo gesto di simpatia. Di fatto, quello fu l’ultimo sorriso col quale ci lasciammo: di lì a qualche giorno egli dovette passare alla terapia intensiva, per non riprendersi più. Poi, nel pomeriggio del 25 marzo 2019, commossi vedemmo nella cattedrale di Gorizia la sua bara scendere nella cripta dei vescovi, mentre il canto ‘In paradisum…” tentava di medicare le ferite del cuore.

 G. M.