DALLA SEGRETERIA DELLA CEI

“Ci sta a cuore”

Emergenza sanitaria e pastorale del lavoro: una prima riflessione

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La Segreteria generale della CEI, facendo perno sull’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro e su quello per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, in una nota del 16 marzo intitolata “Ci sta a cuore” propone alcune riflessioni su questa fase di emergenza sanitaria. Partendo dalla constatazione che “Nulla sarà come prima” per le famiglie che hanno subito perdite umane, per chi è stremato dai sacrifici in quanto operatore sanitario, per il mondo economico, per i settori che sono andati in sofferenza e vivono l’incertezza del domani (turismo, trasporti, ristorazione, mondo della cooperazione e del Terzo settore, la filiera dell’agricoltura e del settore zootecnico, ditte che organizzano eventi, comparto della cultura, piccole e medie imprese), la CEI sottolinea il serio rischio che grava su molti lavoratori e molte lavoratrici.

La comunità cristiana non intende restare indifferente.

“La Chiesa italiana si sente coinvolta. Con la rete delle Diocesi e delle parrocchie – scrivono i vescovi – si impegna a non tirarsi indietro di fronte alle domande più laceranti che attraversano la vita di molti fedeli. E’ questo il tempo della condivisione. Il Vangelo ci chiama a esprimere una solidarietà concreta anche nei confronti dell’occupazione. E’ il momento di far sentire tutta la vicinanza della comunità cristiana ai luoghi di lavoro.”

Vengono suggerite alcune attenzioni che le Diocesi possono adottare nel periodo di «quarantena sociale» e al momento delicato della ripresa:

  1. Facciamo con coraggio il primo passo nel mostrare vicinanza verso gli imprenditori e i lavoratori che stanno subendo gravi perdite e stanno affrontando con le lacrime agli occhi queste giornate.
  2. Aiutiamo e incoraggiamo quanti – all’interno delle nostre parrocchie, associazioni, movimenti, gruppi di catechesi, oratori – sono impegnati nel lavoro in ruoli di responsabilità, a livelli differenti;
  3. Organizziamo la carità per andare incontro alle situazioni più critiche, per alleggerire pesi gravosi, per sostenere persone a rialzarsi.

La Chiesa intende fare tesoro delle reti relazionali che sono già presenti nel quotidiano e rilanciare con convinzione il messaggio che «nessuno si salva da solo». Accanto alle iniziative delle istituzioni, doverose e importanti, non possono mancare anche forme di attenzione, frutto di una sana collaborazione tra la pastorale sociale, quella familiare, giovanile e la Caritas.

Cosa possiamo fare?

Ed ecco alcune scelte molto concrete indicate dai vescovi:

  • esprimere gratitudine a chi, in questo periodo di emergenza, sta lavorando per il bene della collettività, mettendo a rischio la propria salute;
  • valorizzare la figura di San Giuseppe lavoratore (19 marzo) e la giornata dei lavoratori (1° maggio) per far sentire la vicinanza ecclesiale nei confronti del mondo del lavoro (messaggio, preghiera…);
  • promuovere un sostegno concreto attraverso l’acquisto di beni realizzati in Italia da aziende che si dimostrano attente alla tutela del lavoro, alla sostenibilità ecologica e alla qualità dei prodotti. In particolare, ci sembra importante contribuire a campagne di sensibilizzazione come quelle promosse da Coldiretti (#mangiaitaliano e «Caro nonno ti cibo») per promuovere la filiera agroalimentare italiana e mantenere in vita gli agriturismi;
  • diffondere nelle parrocchie l’appello #sceglilitalia: da giugno a dicembre 2020 la meta della vacanza sia nel nostro Paese. Una scelta di autosostegno, di partecipazione attiva alla ripresa economica dell’Italia, compiuta attraverso le opere pellegrinaggi e i tour operator diocesani, come pure valorizzando cooperative e gesti concreti delle varie Diocesi, che lavorano nella valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiale e la fitta rete delle nostre case per ferie, ostelli, case vacanze;
  • assumere alcune soluzioni lavorative a distanza – come lo smart working o la didattica online – quali opportunità concrete anche per il futuro, con cui conciliare il lavoro con i tempi della famiglia e la sostenibilità ambientale (meno traffico e aria più respirabile);
  • condividere buone prassi nate nelle nostre Diocesi.

“Questo periodo «a casa» – concludono i vescovi italiani – non deve solo alimentare la preoccupazione per un momento critico, ma può avviare un processo che duri nel tempo e che accompagni le diocesi a fare dell’attenzione al lavoro un’occasione di evangelizzazione e di sviluppo umano integrale. Siamo tutti connessi. Solidali per vocazione”.