Esperienze di vita

La cenere sul capo

ceneri-2020
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Non sono riuscito a farlo mercoledì delle ceneri, perché avevo in programma degli appuntamenti per la verifica di due cantieri di lavoro. Ma giovedì, sì. In piazza c’era il mercato, ma nessun “precetto” mi obbligava a scendere in strada. Per cui sono rimasto un po’ più del solito a pregare e meditare in solitudine. Mi sono lasciato guidare dall’invito di Gesù, riportato dall’evangelista Matteo, a non compiere le opere della carità, della preghiera e del digiuno davanti agli uomini, per esserne approvato, ma al cospetto del Padre che vede nel segreto. Anche l’Eucaristia in questa settimana, pur aperta per sua natura all’universalità, è stata celebrata a porte chiuse, per piccoli gruppi di sacerdoti e suore. Al centro la Parola, quella stessa che era possibile riprendere appunto personalmente, grazie alla molteplicità delle forme con cui viene proposta, commentata e attualizzata, anche nella nostra piccola cerchia, attraverso i social. Non è mancata la creatività al riguardo, sia per permettere una pur virtuale partecipazione ai sacri riti trasmessi via radio e televisione, sia per far giungere sui telefonini quanto si andava attuando nelle chiese o nelle canoniche in alternativa alla messa quotidiana. Non sono mancate, ovviamente, neppure le critiche, perché ognuno si è sentito il miglior interprete della salvaguardia dei valori in gioco. Da una parte i fautori di un salutare digiuno dalle pratiche religiose, compresi i sacramenti, dall’altra i difensori ad oltranza delle tradizioni, fatte assurgere a condizioni essenziali per una coerente vita cristiana. Non è facile tenere la rotta, se hai in mano il timone, quando arrivano folate di vento da destra a manca, più o meno autorevoli. Ne cito solo una, accompagnata dall’onda dell’espressione «Sine dominico non possumus», con cui i martiri di Abitene, all’inizio del IV secolo, si erano opposti all’editto dell’imperatore Diocleziano che aveva messo fuori legge la celebrazione del giorno del Signore. Pur volendo accettare l’accostamento, «se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi», l’onda veniva poi seguita da proposte come quella di celebrare messe in continuazione, giorno e notte, in modo che i fedeli potessero parteciparvi in piccoli numeri, distribuendosi sulle panche a debita distanza, riducendo il sacramento, forse senza rendersene conto, ad una distribuzione individualistica del sacro, senza comunità e senza vita.

Del resto abbiamo visto gente disposta a pagare trecento euro per una mascherina, gente che assalta i supermercati, gente che fa a pugni per un flaconcino di amuchina, gente che fugge, gente che prende le distanze. Nella disperazione siamo tutti uguali, anime sconcertate che cercano la propria individuale salvezza, senza visione dell’insieme. Isterismo. Così si può definire la ridda di giudizi e di pretese di quanti guardano e giudicano la realtà a partire dall’affanno di salvaguardare se stessi, pretendendo dagli altri il rispetto delle regole, pronti invece a difendere, in maniera più o meno giustificata, le proprie deroghe. Anche le nostre convinzioni religiose sono chiamate a dialogare con le esigenze della salute pubblica e a non costituire motivo di rivendicazione. Quando poi torneremo a professare la nostra fede anche pubblicamente, a differenza di tanti fratelli perseguitati in varie parti del mondo, non dimentichiamoci del Vangelo, che sta alla base della cultura cristiana, della pietà popolare, delle tradizioni liturgiche e degli stessi sacramenti. E il coronavirus sarà stato una grande lezione di vita, molto di più della cenere sul capo in questo “straordinario” inizio di Quaresima.

Francesco Zenna