Il silenzio

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Ero arrivato per tempo. Ho raggiunto una sedia, lì sulla destra della chiesa, e mi sono unito alla recita del rosario. Lo guidavano alcune signore anziane, come spesso avviene nelle nostre comunità: i giovani non conoscono questa preghiera e i sacerdoti, presi da mille servizi, di solito giungono all’ultimo minuto. Mi accorsi ben presto che la sedia poggiava sulla griglia di recupero dell’aria, perché al lato opposto un distinto signore tamburellava con il piede facendo vibrare quella instabile pavimentazione. E non lo faceva ritmicamente, ché mi sarei sintonizzato con la sua cadenza, ma così in maniera casuale o seguendo il filo dei suoi pensieri, che ovviamente non mi era dato di conoscere. Dopo un po’ quelle improvvise vibrazioni cominciarono a darmi fastidio. Evitai di protestare e inconsciamente cercai una distrazione. Mi veniva offerta dalle persone del coro, che arrivavano alla spicciolata e andavano a sistemarsi sulla gradinata loro riservata, scambiandosi il saluto e qualche informazione inerente al servizio che si apprestavano ad offrire immagino. Il direttore dava una sbirciatina al lezionario sull’ambone e l’organista accennava qualche nota della pedaliera per programmare i registri. Anche la regia della preghiera, mentre il microfono portatile passava da una bocca all’altra, sbrigava altre faccende: le ampolline sul tavolino, il purificatoio sull’altare, l’accensione delle candele, il rituale delle esequie alla sede. Guardai verso l’alto e presi in esame le macchie che numerose infiltrazioni d’acqua avevano lasciato sul soffitto e sulle pareti. C’è un progetto di risistemazione del tetto e delle grondaie che presto verrà inoltrato alla Conferenza episcopale italiana per la richiesta di un finanziamento. Sì, perché i cestini, già in posizione per la raccolta delle offerte, potranno coprire in parte assai minima la spesa necessaria. Dovetti fare uno sforzo per controllare se le dita avevano sgranato in numero giusto la corona che tenevo in mano rispetto al mistero che veniva proclamato. “Manda santi sacerdoti e sante famiglie alla tua Chiesa” proclamava l’assemblea che si era fatta numerosa. È stata forse questa insolita litania che mi ha fatto prendere coscienza che non stavo pregando, i nervi un po’ tesi per il protrarsi del fastidioso picchiettio sulla grata e la mente persa tra numeri e impalcature, progetti e documentazioni. Compresi il significato di un’affermazione che avevo letto giorni prima in uno scritto di Mancuso: “Il contrario del silenzio non è la parola; è piuttosto il rumore. Il rumore esteriore della chiacchiera e il rumore interiore dell’agitazione, quel lavorio ininterrotto e disordinato in preda all’emotività che è la vita ordinaria della mente, paragonata in India a un albero pieno di scimmie che urlano e che saltano da un ramo all’altro”. In questi giorni guiderò un corso di esercizi spirituali e ho scelto di misurarmi con una riflessione sul silenzio e con la sua esperienza concreta, perché sono convinto che il vulnus maggiore nel fenomeno vitale della comunicazione sia proprio la mancanza di silenzio interiore. Il silenzio interiore è il grembo dell’autentica spiritualità e della saggezza. Nel libro dei Proverbi leggiamo che «chi è parco di parola possiede la scienza, uno spirito silenzioso è un uomo intelligente».

Francesco Zenna