PAROLA DI DIO - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - CRISTO RE DELL’UNIVERSO - ANNO B

Che il Signore Gesù sia il re del nostro cuore

LETTURE:  Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37

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Con questa domenica si conclude l’anno liturgico. Il percorso compiuto, in compagnia con l’evangelista Marco, ci ha aiutato a conoscere meglio il Signore Gesù per diventare sempre più suoi amici e discepoli. L’anno liturgico si conclude con la Solennità di Cristo Re dell’universo. Tutta la storia è segnata dall’evento Cristo e tutta la liturgia ruota attorno ai misteri della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù: è Lui il centro della storia dell’umanità e il centro della storia di ogni uomo.

Gesù proclama la propria regalità nel momento della sconfitta. Si presenta come un Re crocifisso. “Dunque tu sei re?” è la domanda ironica che Pilato rivolge a Gesù. In S. Giovanni il tema della regalità di Cristo domina la scena del processo davanti a Pilato. Dai racconti della Passione sappiamo che dopo la discussione con i giudei circa la necessità o meno del suo giudizio, il procuratore romano si fa condurre Gesù per interrogarlo sulla sua identità e sul suo operato. Gesù è nato per essere Re e rispondendo a Pilato proclama: “Tu lo dici: io sono Re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo…” (Gv 18, 33b-37).

Potremmo dire noi: certo, è un bel modo di essere “re”! Un re che al posto di un cocchio di bianchi destrieri sceglie un asinello; al posto del mantello regale sceglie di rivestirsi di un grembiule; che non riceve inchini e riverenze ma si inginocchia davanti ai piedi non proprio puliti dei discepoli. Insomma un Re ed un regno che non poggiano sulle forze armate né sul potere economico, né sul potere delle idee, ma esclusivamente sul potere dell’amore e della verità.

Come Gesù è Re? Egli, affermando davanti a Pilato che “Il mio regno non è di questo mondo…” (v. 36), dice chiaramente che non è Re di un altro mondo, ma che è Re in un altro modo. I regni della terra, infatti, incarnano una logica che poggia sull’ambizione e sulla competizione e combatte con le armi della paura, del ricatto. Quella di Gesù, invece, è la logica che rifiuta sistematicamente potere, gloria e onori. È la logica che si nutre di umiltà e di gratuità e si afferma silenziosamente ma efficacemente con la forza della verità e dell’amore. Lo ha ricordato la preghiera del Prefazio nella Messa: il suo regno è “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”.

La scritta posta sulla croce e che S. Giovanni precisa essere scritta in tre lingue, ebraico, latino e greco (Gv 19,20), dice che Cristo è Re di tutti e che la sua regalità consiste in un atto infinito di amore, la sua morte in croce.

La solennità che conclude il cammino dell’anno liturgico ci lancia, a questo punto, un forte messaggio. Essa immette dentro ciascuno di noi il vivo desiderio che Cristo regni davvero nella nostra vita. Ma perché Lui regni è necessario che diventi il punto di riferimento costante, diventi colui che va seguito sulla strada che ha indicato con i suoi insegnamenti ma soprattutto con l’esempio ed è la strada dell’amore che trionfa sull’odio, sul male e sull’ingratitudine perché: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Non dobbiamo, infine, dimenticare che con il battesimo siamo stati ‘innestati’ in Cristo Signore e Re dell’universo e siamo divenuti partecipi del suo ufficio regale, chiamati a costruire il Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia.

Si è re e si diffonde la regalità di Cristo soprattutto servendo nella carità e nella giustizia il Signore Gesù presente nei nostri fratelli, in famiglia, nella Chiesa e nel mondo, con una particolare attenzione per i più deboli e più piccoli (Mt 25,40).

L’augurio che io faccio a me stesso e a quanti leggono queste righe è che Gesù diventi il vero e unico Signore della nostra storia! Che è come dire: che Lui sia il re del nostro cuore; la ragione e il senso della nostra vita; la chiave, il centro e il fine della nostra esistenza.

 don Danilo Marin