Laici con l’odore del pastore

zenna-Francesco
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SGUARDO PASTORALE

Laici con l’odore del pastore

Mentre davamo il saluto liturgico all’amico Luca, strappato troppo presto e improvvisamente non solo ai familiari ma all’intera diocesi, in particolare al nostro presbiterio, mi è tornata alla mente quella lettera che Papa Francesco ha letto durante il Giubileo dei Sacerdoti nell’anno della misericordia. Era la lettera di un parroco di montagna che scriveva così: “Mi colpisce quell’invito che lei più volte fa a noi pastori di sentire l’odore delle pecore. Sono in montagna e so bene che cosa vuol dire. Si diventa preti per sentire quell’odore, che poi è il vero profumo del gregge.

Sarebbe davvero bello se il contatto quotidiano e la frequentazione assidua del nostro gregge, motivo vero della nostra chiamata, non fosse sostituito dalle incombenze amministrative e burocratiche delle parrocchie, della scuola dell’infanzia e di altro. Ho la fortuna di avere dei bravi e validi laici che seguono dal di dentro queste cose”.

Il vescovo Adriano nell’omelia ha elencato con incisività i talenti che il Signore aveva accordato a Luca e la modalità con cui egli li aveva trafficati a servizio della Chiesa locale, soprattutto delle persone dei sacerdoti. Sì, perché egli aveva un grande rispetto e una sincera devozione dei preti con cui trattava quotidianamente, anche quando emergevano divergenze nelle idee e nei progetti: li amava e li accompagnava pazientemente. “Se a volte come pastore – continuava la lettera – non ho l’odore delle pecore, mi commuovo del mio gregge che non ha perso l’odore del pastore. 

Che bello, Santo Padre, quando ci si accorge che le pecore non ci lasciano soli, hanno il termometro del nostro essere lì per loro e se per caso il pastore esce dal sentiero e si smarrisce, loro lo afferrano e lo tengono per mano. Non smetterò mai di ringraziare il Signore, perché sempre ci salva attraverso il suo gregge, quel gregge che ci è stato affidato, quella gente semplice, buona, umile e serena, quel gregge è la vera grazia del pastore”.

Luca in realtà incarnava proprio questa figura di cui le nostre comunità hanno tanto bisogno.

La settimana scorsa sono stato cercato e avvicinato da una coppia che mi ha elencato tutte le fragilità di un confratello con animo bellicoso. Ho scritto ancora su questo argomento, sottolineando il sorgere di una certa arroganza tra i laici che nello stigmatizzare gli errori dei pastori arrivano a formulare anche sottili forme di ricatto.

Ecco, quando parliamo di “odore del pastore” siamo su un’altra lunghezza d’onda. La lunghezza d’onda di una passione per la missione stessa del presbitero, di una disponibilità ad accompagnare e a stare vicino anche umanamente alla sua persona, di condividere la sua responsabilità educativa senza deleghe e pretese, di affiancarsi non tanto per controllare o trarne beneficio ma per dare il proprio apporto onesto e competente in faccende di carattere amministrativo e burocratico. Luca è stato tutto questo. Se ci fossero tanti Luca non avverrebbe quello che il parroco di montagna paventa nel suo scritto: “Alla fine il parroco deve sempre correre dappertutto, relegando a volte la visita agli ammalati, alle famiglie come l’ultima cosa, fatta magari velocemente e in qualche modo.

Lo dico in prima persona, a volte è davvero frustrante costatare come nella mia vita di prete si corra tanto per l’apparato burocratico e amministrativo, lasciando poi la gente, quel piccolo gregge che mi è stato affidato, quasi abbandonato a se stesso.

Mi creda, Santo Padre, è triste e tante volte mi viene da piangere per questa carenza”. Stiamo piangendo tutti per la morte di Luca, e le nostre lacrime di preti sono motivate anche dalla consapevolezza che ci mancherà il suo apporto valido e generoso, consapevoli che potremo essere dei pastori con l’odore delle pecore se saremo affiancati da laici che hanno l’odore del pastore.

 don Francesco Zenna

 

Nuova Scintilla n.29 – 22 luglio 2018