La qualità e lo stile dell’annuncio

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XV DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

LETTURE:  Am 7,12-15; Sal 84;  Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

La qualità e lo stile dell’annuncio

Nessuno è profeta in patria ci ha ripetuto Gesù nel vangelo di domenica scorsa. Però non per questo Egli ha desistito dalla sua missione; anzi ne ha fatto partecipi i discepoli, come leggiamo nel brano di oggi: “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due… Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse” (v. 7). Il testo che leggiamo nel vangelo di Mc. 6, 7-13, segna una tappa importante nel cammino di formazione dei discepoli di Gesù rendendoli uomini e donne incaricati di parlare in suo nome, di testimoniare, con le parole e con la vita, la fede in lui, il suo amore infinito per tutti. Dapprima Gesù li ha chiamati a “stare con lui” per essere testimoni oculari dei suoi miracoli, per ascoltare gli insegnamenti e per approfondire, in privato, quanto a volte facevano fatica ad intendere e poi li invita, inviandoli nel mondo, a “predicare”, a “scacciare i demoni” e a “guarire gli infermi”. Predicare, scacciare e guarire sono i tre verbi che hanno caratterizzato la missione di Gesù e che precisano la natura della missione di apostoli. Sono pronti a far proprio soprattutto il compito di sentirsi corresponsabili dell’annuncio del vangelo, rendendosi conto che sono portatori non di una loro parola ma trasmettitori e testimoni di un messaggio che viene da Dio.

Ed è proprio per rendere più credibile questo annuncio che Gesù conferisce loro anche il suo stesso ‘potere’ (vv. 7 e 13) che è quello di scacciare i demoni e di guarire gli infermi: erano, infatti, quei segni che per la cultura del tempo rivelavano la presenza e la potenza del Regno di Dio in mezzo agli uomini. Non dimentichiamo che nella missione dei dodici è riflessa chiaramente la perenne missione della Chiesa e, quindi, la nostra missione di battezzati. Anche a noi, infatti, il Signore affida un compito quanto mai urgente, non garantendoci né l’accoglienza, né, forse, grandi risultati. Il rifiuto che Gesù ha sofferto a Nazareth, persino dai suoi, il martirio stesso del cugino Giovanni il Battista, fanno ben capire la prospettiva della missione che spetta anche a ciascuno di noi come cristiani e come Chiesa chiamata a rendere visibile nel tempo e nello spazio il mistero stesso di Cristo e del suo vangelo. La nostra missione di profeti e di missionari non è per nulla facile, chiamati a vivere, tante volte, la stessa condizione di Gesù e dei dodici: la nostra presenza è mal sopportata, la nostra voce è molte volte oscurata, siamo additati come persone dell’altro mondo, a volte derisi e condannati al silenzio per non scontentare qualcuno. Gesù, però, ci suggerisce anche le condizioni per continuare ad essere testimoni credibili: “Incominciò a mandarli due a due…” (v. 7) “E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche” (v. 8). È un andare senza fare affidamento sulle ricchezze a cui facilmente attacchiamo il nostro cuore, un andare facendo affidamento all’essenziale e non al troppo o al superfluo che ci appesantiscono, un andare ‘a due a due’ per gustare la bellezza del camminare insieme, per imparare l’importanza dell’altro nell’affrontare le difficoltà e per condividere le gioie e le fatiche della missione; tutto questo dice, a noi stessi prima di tutto e a chi siamo mandati, quale deve essere la qualità e lo stile dell’annuncio dal quale non dobbiamo sentirci esclusi o esonerati. Illuminanti, a questo riguardo, sono le parole di papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”: “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene”. Facciamo sì che la gioia del vangelo riempia il nostro cuore e tutta la nostra vita per diventare, come mi suggeriva un amico, un po’ come le guide in un museo, chiamati a non creare noi le opere d’arte ma a dire a chi ci sta attorno con la parola e con l’esempio: “Guarda come è bello quello che Dio chiede e come è grande il suo progetto per noi”. 

don Danilo Marin