Un prete di “buone maniere”?

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I GIORNI

Un prete di “buone maniere”?

Nei tempi in cui vescovi e consigli pastorali verificano la vita delle comunità e le mansioni dei sacerdoti, corre una domanda: Chi educa i preti? Per natura e funzione il prete è un educatore, come un padre e una madre. Nessuno educa se prima non viene educato, in una operazione continua, dare e ricevere, come il flusso dell’onda sulla spiaggia. Non è in gioco un galateo di buone maniere, ma un cuore e uno stile pervasi dall’amore di Cristo e affascinati dalla bellezza della sposa, la Chiesa, fino a dettare la modalità di rapporto con persone e circostanze. È sempre una grazia incrociare sulla strada della vita persone – vescovi o sacerdoti, consacrati e laici – dotate del ‘carisma dell’educazione’, variamente esercitato nel corso della loro missione. Accade di farne diretta esperienza oppure di imbattersi in qualche loro scritto, come nel caso dell’attuale arcivescovo di Milano, già insegnante e rettore di Seminario, vescovo ausiliare con il Cardinal Scola e suo vicario generale. Sulle orme del conterraneo Alessandro Manzoni, l’arcivescovo Mario Delpini inventa lo stratagemma della scoperta di un testo attribuito ad Ambrogio, vescovo di Milano eletto per acclamazione.

In un simpatico libretto, (Mario Delpini, Reverendo, che maniere!, San Paolo, Milano 2017, pp. 128, € 10.00) l’autore dice di riprodurre l’appendice anonima ritrovata a commento dell’antico testo. Con spezzoni di periodare antico, scova paragoni brillanti che risalgono all’epoca di Ambrogio, delineando usi e costumi sacerdotali con il tratto di un’ironia sottile. Problemi e situazioni si ripetono in tutti i tempi e permettono al nostro di stilare una sorta di ‘Regola pastorale’, come fece Papa Gregorio sul finire del secolo sesto. I capitoli di questo vademecum esistenziale sono scanditi con titoletti in lingua latina (‘de bono patientiae – de rebus gerendis – disciplina servanda…’), e discorrono dell’arte di essere contenti e del compiacimento per il bene altrui. Percorrono le alture della preghiera e si immergono nelle profondità della devozione, nuotano nelle grandi celebrazioni e attingono alla saggezza di una nuova cultura; si intrecciano in una serie variegata di rapporti: con i superiori, le donne, i colleghi, i laici; passano in rassegna le età del prete, dalla giovinezza alla maturità, alla quiescenza, e le mansioni che implicano dedizione ed efficienza senza limiti di estensione o di competenza, e via di seguito. Questo ‘ripasso della vita’ verrà utile ai preti, indaffarati in mille faccende e trascinati nel perimetro di due o tre parrocchie; legati alla tradizione e/o risucchiati dalla modernità; tentati dall’individualismo e/o sospinti all’esperienza comunitaria? L’animo del moderno precettore non si insabbia nel legalismo. Esprime chiaramente il legame con Cristo e dichiara l’appartenenza al suo mistero vivente nella Chiesa. Gli spruzzi di questa ‘buona lettura’ possono arrivare oltre il recinto delle canoniche. 

don Angelo

Nuova Scintilla n.26 – 1 luglio 2018