Dire la gioia

zenna
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SGUARDO PASTORALE

Dire la gioia

Non è stato facile presentare l’esortazione Evangelii Gaudium in un incontro di un’ora e mezza. L’ho fatto altre volte, ma per capitoli o per argomenti, soffermandomi in particolare sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione, durante il corso di morale alla scuola di formazione teologica. Lavorando con delle slides, e focalizzando i vari passaggi e la loro stretta connessione, è stato possibile offrire uno sguardo d’insieme di quello che viene definito il magistero pontificio di Francesco. Alla fine qualcuno ha giustamente evidenziato che sono talmente numerose e sconvolgenti le sollecitazioni presenti nell’esortazione che non si può presumere di operare una trasformazione radicale della nostra impostazione pastorale dal detto al fatto, come si suol dire, ma solo gradualmente.

Certo, il papa stesso afferma che “il tempo è più importante dello spazio”, a conferma che le sfide del tempo presente vanno affrontate con realismo e pazienza. Lo sguardo d’insieme aiuta però a entrare nella mentalità giusta, ad armonizzarsi con la lunghezza d’onda che sospinge al largo, senza timori e pigrizie, ad avvertire l’importanza di ogni singolo gesto o scelta al fine di svolgere la missione affidata da Cristo alla sua Chiesa. Qual è questa mentalità? Da dove cominciare? La risposta viene dalle prime parole “La gioia del Vangelo” e dalla spiegazione che viene data nelle Premesse. Evangelizzare significa “dire la gioia” che abbiamo incontrato, che ci abita e che non può rimanere nascosta, perché è come una lampada posta sopra il candelabro, una città collocata sopra un monte; anche se queste immagini evangeliche potrebbero ingannare, perché la luce della gioia trova la sua sorgente sopra il candelabro o sopra il monte, ma si diffonde nel tessuto della casa e del territorio, permeandoli di una presenza attiva, pacificatrice e vivificante. La sorgente è l’incontro con l’amore salvifico di Cristo Gesù, di cui il Vangelo è testimonianza e strumento, assieme ai sacramenti e alla comunità cristiana nel cui grembo vengono celebrati. La diffusione avviene non per proclami o annunci formali, ma attraverso quella comunicazione di sé, della propria esperienza di fede, presente nel nostro essere e nel nostro operare quotidiani. La vocazione evangelizzatrice di ogni credente in Cristo è allora quella di continuare a dire la gioia incontrata. Quando? In che modo? Con quale efficacia? Sono domande cruciali. Se non riusciamo a dare una nostra risposta concreta il discorso resta astratto, bello ma sfuggente. Si tratta allora di fare memoria della scoperta che abbiamo fatto di essere amati dal Signore, memoria dell’efficacia di questo amore per l’orientamento della nostra vita, memoria di quella fedeltà che ha segnato il nostro cammino fin qui e dà solidità a quello futuro. È stato forse l’ambito familiare punteggiato da richiami, anche solo tradizionali, alla dimensione religiosa della vita, forse il percorso catechistico condiviso con i coetanei in parrocchia e la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, forse l’incontro con una persona che ha destato in noi la curiosità e l’interesse per le sue scelte di vita, forse il superamento di una difficoltà o di una crisi sostenuti da una parola e da una presenza che ci hanno fatto sentire la forza che viene dal Signore, forse ancora la condivisione della ricerca e dell’affidamento nell’ambito di una comunità ecclesiale. E l’efficacia può essere misurata dall’importanza che questo incontro continua ad avere per l’oggi e dal contagio che sviluppa tra le amicizie e le frequentazioni. Dire la gioia, allora, non risulta un compito eroico cui dobbiamo corrispondere, per quanto presupponga un impegno generoso, ma il frutto di quell’azione dello Spirito alla quale misticamente ci affidiamo, in semplicità di cuore e in perfetta letizia.

don Francesco Zenna

 

Nuova Scintilla n.11 – 18 marzo 2018