La gestione dei beni ecclesiastici

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SGUARDO PASTORALE

La gestione dei beni ecclesiastici

Non avrei mai pensato di partecipare ad un convegno sull’economia. Data la tipologia dei servizi ministeriali che ho svolto fino ad ora mi sono sempre aggiornato su questioni di carattere più pastorale e spirituale. Attraverso lo scambio di esperienze e riflessioni con gli economi delle oltre 200 diocesi italiane, nei primi giorni della settimana scorsa, mi sono confermato sull’idea che anche la gestione dei beni rientra nella continua ricerca dello spirito evangelico per la vita personale e quella delle nostre comunità di appartenenza. È importante però che diventino mentalità o quanto meno criterio di riferimento alcune convinzioni. Innanzitutto che i “beni” ci sono affidati a servizio del “bene”. In altre parole, non deve essere mai dimenticato l’obiettivo di ogni nostra attività, anche di carattere materiale, quello cioè di facilitare l’incontro con il Dio della vita e il suo progetto d’amore. Poi che il consiglio evangelico di “povertà” va inteso come reale libertà del cuore da ogni forma di attaccamento o di schiavitù dai beni materiali. Anche qui il richiamo riguarda la modalità con cui gestiamo le strutture e le economie di cui siamo responsabili. Sia per i presbiteri che per gli operatori laici è la modalità propria della “delega” da parte della comunità diocesana e parrocchiale, con conseguente dovere della rendicontazione. Non siamo padroni dei beni della diocesi e delle parrocchie, ma semplici temporanei gestori.

Un altro criterio riguarda la trasparenza, figlia dell’onestà con cui si agisce e della fiducia riposta in chi guarda e ascolta. Quando si sente l’esigenza di tenere nascosto qualcosa alla conoscenza di tutti non sempre è per timore delle manipolazioni dei media.

Mi è piaciuto l’invito rivolto alle comunità cristiane dall’economo della Conferenza episcopale italiana: passare dall’imbarazzo con cui gestiamo il gettito dell’ottopermille all’orgoglio di farlo, a nome non solo della Chiesa ma anche della società che ce l’affida. Non è infatti un privilegio concesso alla Chiesa cattolica, ma un servizio che le viene chiesto dal cittadino e dallo Stato per l’erogazione di quelle opere culturali ed assistenziali che diversamente non potrebbero essere realizzate.

Sarà importante quindi lavorare in sinergia tra chi collabora direttamente con il Vescovo nella gestione dei beni e chi li usa concretamente sul territorio della diocesi. Mi riferisco non solo ai parroci, ma anche ai membri dei consigli per gli affari economici. Ci deve muovere non tanto la difesa ad oltranza dei diritti particolari ma la ricerca di una logica condivisa che porti i beni di ciascuno a vantaggio di tutti. Troveremo il modo di richiamare il regolamento che ci siamo dati con il Sinodo diocesano, e che è stato aggiornato con l’arrivo del vescovo Adriano, come previsto a livello di chiesa italiana; ma ancor più cercheremo di raccontarci (rendi-raccontarci) le prassi positive che tengono vivo quel circolo virtuoso che rende autentico ed apprezzato il servizio che svolgiamo. E dobbiamo riconoscere che ce ne sono, sia sul fronte delle ristrutturazioni, sia sul fronte del sostegno economico alle attività gestionali, pastorali e caritative.

Allora sì, anche questo servizio nuovo di economo non si discosta da quello relazionale di Vicario generale né da quello programmatico dell’azione pastorale.

don Francesco Zenna

 

Nuova Scintilla n.10 – 11 marzo 2018