Il futuro dei giovani

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SGUARDO PASTORALE

Il futuro dei giovani

L’ho letto con vero piacere. Il vescovo di Novara ha dedicato ai giovani il discorso alla città in occasione della festa patronale. Come a dire che il futuro della comunità è condizionato proprio da loro, dal loro percorso di crescita. Sullo sfondo sta certamente la celebrazione del Sinodo che li vuole protagonisti, testimoni di una fede che guida le loro scelte vocazionali. Ma la questione non ha stagioni, ha interessato il passato, condiziona la vitalità del presente e colora il futuro. Facendo riferimento all’esperienza del popolo d’Israele, mons. Brambilla immagina il cammino del giovane come un’uscita dalla prima casa dell’infanzia e della sicurezza familiare, un passaggio attraverso il deserto della ricerca faticosa e a volte dolorosa, in attesa di poter entrare nella dimora del futuro.

L’uscita si può paragonare a un parto, perché la casa dell’infanzia è come un grembo che genera e prepara alla vita. E, come nel parto, comporta fatica, dolore e nello stesso tempo fiducia e speranza. Tutto è condizionato da due esperienze fondamentali trasmesse rispettivamente dalla madre e dal padre: l’esperienza che la vita è buona e merita fiducia, l’esperienza che il bene della vita va speso crescendo nella responsabilità. Non potrà essere così per chi è vissuto nell’assoluta comodità, soffocato da una congerie di beni materiali, preservato da qualsiasi difficoltà. Risulta invece determinante l’educazione ricevuta in questa fase della vita. Purtroppo i genitori hanno sempre meno tempo, perché lavorano entrambi, e sono sostituiti dai nonni portati a concedere ai nipoti ciò che non avevano dato ai loro figli; “gli educatori e gli insegnanti non ricevono molta stima sociale, l’alleanza educativa tra famiglia e scuola è debole, il rapporto della famiglia con la comunità è spesso utilitaristico. Tutti insieme siamo chiamati all’opera di costruire nei figli il patrimonio dell’umanità di domani: diamo meno cose e più valori, doniamo meno beni e più tempo, concediamo meno possibilità e regaliamo più presenza. Il ragazzo, e poi soprattutto l’adolescente, ha bisogno di adulti presenti, affidabili, pazienti, stimolanti, tonici, creativi, affascinanti, persuasivi. Per “tirar fuori” dalla loro vita una libertà solida hanno bisogno di faticare, rischiare, sperimentare, lavorare, confrontarsi, imparare, attendere, donare, sperdersi, essere generosi”. Solo così l’uscita sarà sinonimo di speranza, di coraggio, di progettualità.

Il tempo della prova invece è quello dell’adolescenza e della giovinezza: “Il tempo dell’innamoramento, il tempo del timore e della legge, il tempo del bisogno e del dono, il tempo dell’attesa e dei legami”. Diventa fondamentale che essi riconoscano la presenza di una provvidenza che guida i loro passi con l’amore di un padre che allena alla fiducia e alla progettualità. Si tratta di prendere possesso di quanto si è ereditato, attraverso un noviziato, un vero e proprio tirocinio. “Preghiera, ritualità, carità, missione, non vanno vissute solo come «eventi» straordinari, ma come un «lavoro» della persona e sulla persona, perché sia strappata dal cerchio magico del suo solipsismo” per imparare ad amare, a tessere relazioni, a curare l’interiorità. Per entrare attrezzati nella terra della libertà, della vita adulta. Non è scontato, perché ci sono degli ostacoli, quali la mancanza di lavoro e l’indebitamento pubblico, che trattengono ancora la carovana del mondo giovanile sulla soglia. È necessario uno scatto di generosità da parte del mondo adulto. Per questo, alla società civile, in particolare alle famiglie e alla scuola, assieme alla comunità cristiana, il Vescovo raccomanda: “Diamo molto tempo ad ascoltare e stiamo vicino ai giovani, abitiamo i loro spazi e incontriamo i loro desideri. Perché possano compiere l’avventuroso cammino che esce da una terra di dipendenza, passa attraverso l’età meravigliosa e perigliosa della crescita, per entrare nel paese della maturità umana”.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.8 – 25 febbraio 2018