La Chiesa che tu ami

zenna
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SGUARDO PASTORALE

La Chiesa che tu ami

In Cile papa Francesco ha lanciato proprio questa domanda: «Com’è la Chiesa che tu ami?». Parlava ai sacerdoti, ai consacrati/e ed ai seminaristi, ma la domanda va fatta a tutti i battezzati che riconoscono la Chiesa come madre, perché per mezzo di lei hanno ottenuto il dono della vita divina. Del resto non si dà ministero che non sia per una comunità ed è nella comunità che si sviluppano i ministeri. Il papa ha usato un’immagine simpatica per rimarcarlo: “Non esiste il selfie vocazionale”. In altre parole la vocazione nessuno se la può dare autonomamente, e anche la verifica della sua autenticità viene da un altro sguardo: “La vocazione esige che la foto te la scatti un altro”.

Quale risposta diamo, allora, alla domanda iniziale?

Chi giudica e condanna dimostra di amare una Chiesa ideale, perfetta, senza rughe né macchie, dalla quale pretende che siano vissute quelle virtù che egli stesso non ha. Molte volte sono proprio i praticanti, portati ad essere fedeli per soddisfare un precetto e intanto coltivano sentimenti contrastanti, perché da una parte hanno bisogno della Chiesa, dall’altra la contestano.

Chi difende e giustifica ad ogni costo mostra di amare la mediocrità, il compromesso, usa improbabili belletti per un maquillage di facciata che non sana e non rinnova. Anche costoro sono riconducibili a quei cristiani che si sentono parte del popolo di Dio e sono disposti a passar sopra a qualsiasi incoerenza per mascherare le proprie fragilità.

Il Card. Raul Silva Henriquez, citato dal santo Padre, diceva invece: “La Chiesa che io amo è la santa Chiesa di tutti i giorni… la tua, la mia… Gesù, il Vangelo, il pane, l’Eucaristia, il Corpo di Cristo umile ogni giorno… con i volti dei poveri e i volti di uomini e donne che cantavano, che lottavano, che soffrivano… la santa Chiesa di tutti i giorni”.

È sconvolgente. Non è la Chiesa descritta dai giornali, la Chiesa denunciata od osannata dai politici a seconda del proprio interesse, la Chiesa stigmatizzata a partire dall’ultimo scandalo, confusa con le forme aleatorie delle emozioni di massa, o la Chiesa identificata con le sue strutture, sempre troppo lontane dal Vangelo se non sono viste nella prospettiva del servizio. È la Chiesa che costruisco io con la mia partecipazione, la ricerca della comunione, la passione per l’uomo, la disponibilità e la cura. E proprio per questo è una Chiesa ferita, le mie miserie sui piedi, le mie incoerenze nelle mani, le mie durezze di pensiero e di sentimento dentro un petto che non si rimargina mai completamente, ma sanguina come quello di Cristo aperto dalla lancia. Sì, la Chiesa ferita trova vita proprio nelle piaghe di Gesù. È una Chiesa che non “rumina la desolazione”, dice ancora testualmente il Pontefice, ma “discerne” e coniuga verità e carità con la prova dei fatti, è la Chiesa per la quale siamo disposti a dire ancora il nostro “sì” in modo realistico, sullo stile di Pietro: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. “Non siamo qui perché siamo migliori degli altri. Non siamo supereroi che, dall’alto, scendono ad incontrare i mortali. Piuttosto siamo inviati con la consapevolezza di essere uomini e donne perdonati. E questa è la fonte della nostra gioia. Il chiamato è colui e colei che incontra nelle proprie ferite i segni della Risurrezione; chi riesce a vedere nelle ferite del mondo la forza della Risurrezione”. Vale per ogni vocazione.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.4 – 28 gennaio 2018