Dal giudizio alla cura

zenna
Facebooktwitterpinterestmail

SGUARDO PASTORALE

Dal giudizio alla cura

Ho dedicato molti testi alla descrizione dell’identità, della missione e dello stile di vita dei presbiteri, raccogliendo le suggestioni del sussidio “Lievito di fraternità”. Qualche laico me l’ha fatto notare con un cenno di stanchezza, subito rientrato quando gli ho fatto notare che le riflessioni offerte in questi mesi hanno una significativa ricaduta su tutta la comunità cristiana. Il prete è tale nella misura in cui esercita quella carità pastorale che lo vuole dentro una comunità, a servizio di una comunità e, vorrei sottolineare oggi, quando è sostenuto da una comunità. Purtroppo l’atteggiamento più frequente è quello della pretesa e del giudizio. Non mancano esempi poco edificanti che mettono in luce le fragilità umane cui anche il presbitero è soggetto. Ma la cultura del gossip tende ad enfatizzarli con conseguenti forme di condanna senza misericordia. Certo, un ministro della grazia del Signore è chiamato a una particolare rettitudine e, soprattutto in campo educativo, riveste un ruolo di grande responsabilità. Se le sue fragilità sono causate da mancata formazione umana o da colpevoli comportamenti disordinati sono i suoi superiori per primi ad offrirgli gli strumenti adatti alla correzione e alla crescita. Se si tratta di limiti riconducibili al carattere, alla personalità o ad altre condizioni contingenti, i fedeli che lo frequentano, soprattutto i più vicini, in quanto collaboratori e corresponsabili nella vita della comunità, sono chiamati a prendersene cura. Sto pensando a quante povertà il prete viene a conoscere, nelle famiglie, nelle relazioni professionali e sociali, nelle realtà associative e nella stessa comunità parrocchiale. A lui viene giustamente chiesto di essere testimone della tenerezza e della misericordia del Signore.

La vicinanza, la partecipazione, assieme al richiamo e all’accompagnamento, costituiscono lo spirito con cui affrontare e gestire queste situazioni di povertà. Perché non dovrebbe valere anche nei suoi confronti? Ho conosciuto parroci che tante volte hanno fatto soffrire i loro fedeli, e per questo non posso certo lodarli, ma proprio da loro più di una generazione riconosce di essere stata educata a una fede matura e coerente. So di confratelli che sono sostenuti da amicizie sincere e schiette, che non si attardano in adulazioni false e interessate ma nemmeno in critiche sterili e scandalistiche, e sanno piuttosto correggere fraternamente nella ricerca del bene di tutti. Vi posso assicurare che quando si viene a conoscenza dei giudizi che vengono formulati nei propri confronti, il più delle volte ingiustificati e ingenerosi, ci si domanda perché coloro che li hanno formulati non si sono presi cura di verificare l’autenticità delle notizie pervenute e di parlarne direttamente con l’interessato. Una comunità cristiana non può esimersi dal compito di pregare anche per i suoi presbiteri. Quello che papa Francesco chiede sempre per sé vale per tutti coloro che hanno la grande e delicata missione di rendere presente Cristo nella Parola e nei Sacramenti. Non capisco coloro che sono accaniti censori ma spettatori inerti, pronti a intervenire quando c’è un comportamento o un’idea da stigmatizzare e puntualmente assenti nella fase dell’impegno e della costruzione. Trovo invece esemplari quei figli che soffrono per le rughe della propria madre ma la circondano di amore e riconoscenza, perché si rendono conto che a volte quelle rughe sono frutto dalla propria indifferenza.

don Francesco Zenna

da Nuova Scintilla n.47 – 10 dicembre 2017