Formazione permanente del presbitero

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SGUARDO PASTORALE

Formazione permanente del presbitero

A conclusione del percorso fatto insieme in questa rubrica sul rinnovamento del clero, urge fermarsi a considerare la “necessità di assumere e avviare processi formativi, il cui fine rimane lo sviluppo di personalità mature, segnate dalla passione per il Signore Gesù e il popolo di Dio; ministri animati da una convinta appartenenza al presbiterio e da un profondo respiro ecclesiale; evangelizzatori preparati alla missione, che sanno riconoscersi profondamente uniti a coloro a cui sono stati inviati e, insieme, attenti a preservare il sapore e la luce della differenza cristiana”. In Diocesi è stata sempre viva questa convinzione. Subito dopo il Concilio si è dato vita a corsi residenziali, lezioni di aggiornamento, esercizi e ritiri spirituali, ai quali hanno sempre partecipato con impegno quasi tutti i confratelli. Di anno in anno si è affinato sempre di più il metodo, e i contenuti, di carattere prettamente teologico o di carattere pastorale, hanno seguito l’evolversi del pensiero e della prassi ecclesiale in Italia. Dalle lezioni frontali si è passati, non senza fatica, al confronto e al dialogo sulle proprie esperienze; negli esercizi e nei ritiri si è andati privilegiando il metodo della lectio divina sulla predicazione tematica; anche la condivisione spirituale è stata una conquista importante per crescere nella fraternità; la presenza amichevole e orientatrice del Vescovo ha favorito la crescita nel senso di appartenenza alla Chiesa locale, con un suo progetto e i suoi obiettivi condivisi.

Anche il coinvolgimento dei laici è stato un passaggio importante nell’itinerario formativo; mentre essi venivano introdotti alla corresponsabilità, i presbiteri maturavano la giusta libertà nella gestione dei beni e dell’organizzazione delle strutture edilizie e pastorali, per le quali i laici erano più preparati. Gli organismi di partecipazione, ormai presenti non solo a livello diocesano, ma anche vicariale e parrocchiale, se vissuti con serietà e rispetto dei ruoli, costringono al confronto sereno e costruttivo per la maturazione di comunità cristiane capaci di annuncio e di testimonianza. Proprio per superare la mentalità “mordi e fuggi”, di cui parla il Sussidio, e di riuscire a “modulare preghiera, riflessione, e scambio fraterno”, nei giorni del Cavallino abbiamo formalizzato quello che sarà lo sviluppo del ritiro spirituale mensile: iniziando abbastanza presto con la recita dell’Ora media e la meditazione tenuta dal nostro Vescovo, avremo la possibilità di dedicare poi del tempo, un’oretta circa, alla preghiera e alla meditazione personali, prevedendo di potersi accostare anche al sacramento della riconciliazione, e di terminare con un congruo spazio di condivisione delle riflessioni fatte e con il pranzo fraterno. A nulla vale tutto questo, però, se il presbitero non si lascia coinvolgere “in maniera convinta, riconoscendosi soggetto attivo e responsabile della propria formazione”. E qui vanno stigmatizzate la costante assenza di alcuni, la facilità a trovare motivi per sentirsi esonerati dalla partecipazione, a volte anche la superficialità con cui vengono vissuti questi momenti fondanti un’autentica appartenenza presbiterale. “È una questione di spirito, di contenuto e di metodo; un cammino di conversione che deve incontrare in ognuno la disponibilità alla cura di sé: vi corrisponderà la forza di servire con gioia in modo sempre più fedele e generoso la comunità cristiana”. I Vescovi italiani concludono il Sussidio con una preghiera a Maria. Si rivolgono a lei, “Vergine del silenzio”, “Donna premurosa”, “Madre”, “Amante della vita”, perché renda i presbiteri di oggi “sentinelle di quella vita che inizia il giorno in cui ci si apre, ci si fida e ci si dona”.

don Francesco Zenna

 

Da Nuova Scintilla n.46 – 3 dicembre 2017