Pensare la carità e le sue forme

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INCONTRO CON IL DIRETTORE DI CARITAS ITALIANA

Momento importante di confronto anche con gli altri soggetti del territorio

Pensare la carità e le sue forme

Ripensare l’agire caritativo alla luce di due polarità apparentemente contrapposte: la moltiplicazione di ‘servizi’ che la Caritas ha strutturato e struttura, in risposta alle tante emergenze nel e del territorio, e rendere tutto questo vita dentro le comunità dei credenti. Operazione non semplice, perché la dimensione essenziale della carità trova un suo naturale intreccio dentro l’Ecclesia nella sinergia con l’annunzio e la celebrazione, ma nel rapporto con il territorio la sua prassi effettiva. Celebrazione e cammini di iniziazione stanno ‘dentro’ la comunità, i poveri stanno nella ‘zona comune’ di comunità ecclesiale e territorio/mondo. Comunità-Poveri-Mondo non sono affatto soggetti che stanno insieme facilmente. Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, ha fortemente insistito su questo punto: la carità come scelta e coscienza comune di una Chiesa locale per essere credibile di fronte al mondo.

Sicuramente accanto alle buone prassi sono emerse anche delle criticità che si possono superare se vi sarà il desiderio del confronto e della formazione e la capacità di lavorare insieme, presbiteri e laici. Anche se non è stato esplicitamente detto, si è avuta chiara la percezione che ad oggi l’esperienza della Caritas in Italia si sta configurando sempre più come esperienza laicale che trova nel rapporto ‘politico’ con il territorio una sua chiave di volta. È in quest’ambito che oggi Caritas sta tentando di promuovere esperienze che non nascono direttamente da input dei presbiteri ma si strutturano con credenti, non credenti e diversamente credenti. La comunità cristiana in questo senso è chiamata alla difficile arte del discernimento, ma anche della promozione di esperienze che valorizzino la componente giovanile (significativo un video proiettato dal servizio di contrasto all’alcolismo, fatto e costruito con il linguaggio dei giovani).

Poi ci sono le esperienze… il confronto con le disabilità fisica e psichica, con i minori a rischio, il tema del lavoro, della casa, dei migranti, del carcere … Tutte situazioni che ci ‘compromettono’ perché non possiamo tirarcene fuori, pena l’insignificanza. Non è un discorso semplice per la dimensione caritativa della nostra Chiesa locale – ma nemmeno per le Caritas di tutte le diocesi italiane – perché intende ripensarsi come formazione e investimento. Scelta che in questi anni – ma direi da sempre – ha visto la Caritas diocesana non tirarsi mai indietro, pur con difficoltà e progetti non sempre riusciti; ma tutto questo sta nelle umane cose.

Sottolineature particolari poi sui progetti che impiegano risorse che provengono dall’8×1000, che devono avere senza se e senza ma due corridoi: la trasparenza dell’uso e il costituire una sorta di motorino di avviamento per una graduale autonomia e autosufficienza economica anche delle Opere/Segno; per questo motivo è importante che i progetti siano poi gestiti non in proprio dalla Caritas ma affidati e dati in gestione a strumenti operativi dalla Caritas o dalla diocesi generati.

Era da tempo che si pensava ad un incontro/confronto con il direttore di Caritas Italiana; c’è stata la possibilità – anche se un po’ ristretta nel tempo – di un momento specifico che ha visto la partecipazione anche di altri soggetti con i quali nel territorio si collabora, in primis i Centri di Solidarietà che si occupano del ciclo alimentare e con i quali si è impostata una prima condivisione in occasione della Giornata del Povero voluta da Papa Francesco. La Caritas e il Centro di Ascolto nelle comunità cristiane, gli spazi ecclesiali per accoglienze e formazione degli operatori, trovare nuove strade per dire la carità. Un impegno e una proposta che il vescovo Adriano ci ha fatto. La accogliamo e la facciamo nostra.

MC

Da Nuova Scintilla n.44 – 19 novembre 2017