Chiarezza e trasparenza nella gestione dei beni

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SGUARDO PASTORALE

Chiarezza e trasparenza nella gestione dei beni

Difficile compito del presbitero, soprattutto quando viene nominato parroco, è la gestione dei beni ecclesiastici; in particolare oggi, quando egli “è legale rappresentante di più parrocchie, con edifici da gestire, restaurare e valorizzare, spesso a fronte di penuria di risorse economiche e di una normativa civilistica sempre più complessa”. Può essere tentato su due fronti: “accentrare tutto su di sé” per non dover fare la fatica di confrontarsi con altri, o “scaricare questo compito, delegandolo in toto” liberandosi così di una preoccupazione che sembra esulare dalla sua missione. Di tentazioni si tratta perché “opera di carità pastorale è anche l’amministrazione di quei beni che i fedeli hanno affidato alla Chiesa” e “rimangono mezzi per conseguirne i fini: la pastorale, la carità, il culto, il sostentamento del clero”. Il Sussidio che stiamo sintetizzando dedica il capitolo sesto proprio a questo tema, suggerendo chiaramente la logica della condivisione che vuole, come prescrive il Codice di Diritto Canonico, “un autentico funzionamento degli organismi di partecipazione, all’insegna della collaborazione e – ancor di più – della corresponsabilità”. Noi presbiteri il più delle volte siamo “impreparati nel comprendere le dinamiche delle procedure amministrative” e tuttavia “poco inclini a tener conto delle indicazioni offerte dalla Diocesi”.

Quale conversione viene richiesta? In primo luogo quella di “imparare ad affrontare anche tale impegno come esercizio di una responsabilità pastorale, da vivere con sobrietà ed essenzialità”. Essa domanda valutazione dell’esistente, una sua aggiornata utilizzazione, e la “conservazione e valorizzazione dei beni artistici”, con la “saggezza amministrativa” di saper programmare “gli interventi in modo tale da non trovarsi gravati da edifici che non solo non serviranno, ma si riveleranno un peso o una fonte di esposizioni debitorie sproporzionate rispetto alle concrete possibilità”. Anche “gli ambienti e i mezzi che si utilizzano per lo svolgimento delle attività pastorali” devono corrispondere “alle reali necessità” e risultare “adeguati alle normative vigenti e, quindi, sicuri: un’avvertenza che impegna a effettuare verifiche periodiche agli impianti e ad assicurare loro una costante manutenzione”. In secondo luogo è necessario superare la sindrome di “sentirsi padroni della parrocchia” e aprirsi invece alla “partecipazione corresponsabile della comunità” attraverso il “Consiglio per gli affari economici, che assicuri una corretta e proficua gestione”; sarà tale se avverrà “il confronto con il Consiglio pastorale per la definizione delle priorità e le spese eccezionali, la presentazione dei bilanci preventivi e consuntivi, il rendiconto delle Giornate nazionali, diocesane, straordinarie, come pure la pubblicità dei lavori da effettuare nel pieno rispetto delle normative pubbliche”. La verifica di questo importante organismo, quando è costituito da persone competenti, sensibili e responsabili, evita al presbitero “di cadere nel rischio dell’accumulo personale, della disattenzione, della superficialità e dell’arbitrarietà” mentre “la propensione a non rendere conto ha come conseguenza una progressiva perdita di fiducia”. La Diocesi, come mi riprometto di spiegare dettagliatamente in un prossimo articolo, offre “alle parrocchie un sostegno qualificato su più fronti: la messa a disposizione di un pool di professionisti, la supervisione della correttezza dei protocolli, la realizzazione di procedimenti che sgravino dalle procedure che possono essere eseguite con maggior rapidità dal centro”. In terzo luogo risulta arricchente “l’esperienza di collaborazione tra più parrocchie”: aiuta a “superare barriere e campanilismi”, a “interpretarsi in un’ottica maggiormente comunionale”, a unire le forze umane, professionali e anche quelle economiche attraverso “forme di perequazione tra parrocchie benestanti e parrocchie in difficoltà”. Da non dimenticare, infine, che “episodi di cattiva gestione dei beni ecclesiastici gettano ombre e sospetti ben oltre i confini della Chiesa”.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.42 – 5 novembre 2017