Ascoltate oggi la sua parola

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XXVI DEL TEMPO ORDINARIO – A

LETTURE:  Ez 18, 25-28; Dal Salmo 24; Fil 2, 1-11; Mt 21,28-32

Ascoltate oggi la sua parola

Ez 18, 25-28: “Se il malvagio si converte dalla sua malvagità…egli certo vivrà. Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male…egli muore”

All’inizio di questo capitolo 18 del libro del profeta Ezechiele troviamo un ‘proverbio’ in forma di domanda, che è la chiave di comprensione di tutto il capitolo e delle poche righe riportate oggi alla liturgia. “Perché andate ripetendo questo proverbio sul paese d’Israele: ‘I padri hanno mangiato l’uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati’?” Esso esprime il modo di intendere il peso del peccato sulle generazioni successive, ma anche nei tempi diversi della vita del singolo. Le colpe dei padri Dio le fa ricadere nei figli? E nella vita del singolo, le colpe passate compromettono la salvezza della persona? In questo capitolo il profeta annuncia il principio della responsabilità personale: “il figlio non sconterà l’iniquità del padre né il padre l’iniquità del figlio” (18,20). Lo stesso è per ogni uomo: “se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso…egli vivrà e non morirà. Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata… . Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male … Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate… egli morirà”. Alla teoria dei meriti viene sostituita la teoria della relazione presente che si può chiarire con due pensieri. Il primo è: ‘Convertitevi, cioè abbandonate il male e vivrete. Non si deve mai pensare che non c’è speranza a causa del male passato, purché si cambi vita. Il secondo pensiero è: ‘Nessuno può vantare meriti passati per giustificare il suo fare male al presente. La salvezza è frutto della relazione presente che viviamo con Dio e con il prossimo. In nome del bene fatto in passato non si può pensare di permettersi di fare il male oggi, quasi che il bene fatto in passato sia un deposito che ci consente di fare il male oggi.

Dal Salmo 24: “Ricòrdati, Signore, della tua misericordia”.

Tre strofe proposte del salmo 24 trasformano in preghiera quanto ascoltato dal profeta Ezechiele. Invochiamo il Signore perché ci ammaestri interiormente e ci faccia da guida in ogni momento della nostra vita, ci conduca lungo le sue ‘sue vie, cioè le via del bene e della giustizia, lontani dal peccato e dal male. Se in passato abbiamo sperimento il peccato, l’allontanamento da lui, il rifiuto dei suoi insegnamenti, ora contiamo sulla sua fedeltà e invochiamo la sua bontà e misericordia, per le quali Egli certamente ritornerà a guidarci e a farci da maestro. Il nostro passato non deve tarpare le ali alla nostra preghiera e speranza, né deve diventare motivo di orgoglio o di falsa sicurezza. La sua bontà e misericordia diventano appello a una vita rinnovata ogni giorno. 

Fil 2, 1-11: “Abbiate in voi gli stessi i sentimenti di Cristo Gesù”.

San Paolo per esperienza sa che nelle comunità nascono contese e conflitti che ne minacciano o ne impoveriscono la vita. Perciò esorta alla concordia che può essere costruita e mantenuta solo con atteggiamenti di umiltà, abnegazione e servizio. Fondamento di questi atteggiamenti è la relazione con Dio, che offre consolazione in Cristo, conforto frutto dell’amore (del Padre) e comunione nello Spirito. Essi renderanno felice l’apostolo se potrà constatare tra di loro amore, compassione, unione di spiriti, di carità e di sentimenti. Concretamente: niente spirito di rivalità o vanagloria, ma umiltà; non l’interesse proprio ma quello degli altri! A quale modello ispirarsi? “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” che egli ha mostrato nella sua storia. Abbassamento/umiltà: da Dio/Signore a uomo/servo, a uomo obbediente/umiliato fino alla morte di croce. Innalzamento/glorificazione: dall’umiliazione della croce all’esaltazione al di sopra di tutte le creature, all’adorazione e lode a lui date in quanto riconosciuto Signore e Salvatore. Farsi umili servitori dei fratelli e attendere da Dio la lode di servi fedeli.

Mt 21,28-32: “Chi ha compiuto la volontà del padre”.

La breve parabola è incorniciata da due domande: Che ve ne pare? Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? La domanda «Che ve ne pare?» coinvolge sin dall’inizio gli uditori nel dibattito: essi sono invitati a prendere posizione nei riguardi di un breve racconto. Un padre proprietario di un vigneto, si rivolge, in momenti successivi, ai due figli chiedendo loro di andare a lavorare nella vigna. L’appellativo «figlio» è affettuoso, quasi implorante. La reazione verbale del primo è subito positiva: «Sì, signore». L’obbedienza appare un dato del tutto ovvio, evidenziato da quel «signore», in luogo di «padre». Ma questo figlio poi non va nella vigna. Il padre rivolge la stessa richiesta all’altro figlio, il quale rifiuta decisamente. Al rifiuto verbale del figlio, non segue alcuna reazione del padre, ma un cambiamento nel figlio, che ‘si pentì’ e più tardi andò nella vigna. I due fratelli quindi si comportano, nelle parole e nei fatti, in maniera esattamente opposta: uno dice sì e non fa, l’altro dice di no e poi fa. Segue poi l’applicazione della parabola: una concisa risposta dei capi della società giudaica e l’insegnamento di Gesù. I capi riconoscono che ad obbedire è stato il secondo figlio. Gesù conclude con due detti. Nel primo, contrapponendo “principi dei sacerdoti e anziani a pubblicani e prostitute”, identifica gli uni con il primo figlio e gli altri con il secondo. L’affermazione conclusiva «voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti…», rivolta ai capi giudei, fa da contrasto al «pentitosi» del secondo figlio, riferito a pubblicani e prostitute che si sono pentiti e hanno creduto a Giovanni. Dio chiama e invita, ma chi risponde e accoglie? Il punto decisivo è l’atteggiamento che di fatto si prende di fronte ai suoi inviti e alla sua Parola.

+ Adriano Tessarollo