In cammino, ma non di fretta

zenna
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SGUARDO PASTORALE

In cammino, ma non di fretta

Padre Santo, chiediamo a Lei i criteri per vivere un’intensa vita spirituale nel nostro ministero che, nella complessità della vita moderna e dei compiti anche amministrativi, tende a farci vivere dispersi e frantumati». È la domanda rivolta a Papa Francesco da un sacerdote nell’incontro di Genova del 27 maggio scorso. Giovedì il nostro Presbiterio vivrà ancora una giornata di fraternità presso la parrocchia di Taglio di Po, retta dai frati Minori. Saremo alla vigilia della Festa del Sacro Cuore, e mi piace cogliere l’occasione per riflettere sulla nostra vita spirituale. Si tratta di «imitare Gesù», è il fulcro della risposta. Ma con una specificità: «nello stile con cui Egli ha vissuto». Egli era sempre in cammino, tra la gente. Dai Vangeli si intuisce che Gesù passava la maggior parte del tempo sulla strada: questo vuol dire vicinanza ai problemi di tutti, coinvolgimento nel loro vissuto. Ma non di fretta, come facciamo noi, guardando sempre l’orologio o rispondendo costantemente al telefonino.

Questo comportamento non è pastorale. Sappiamo quanto soffre la gente quando viene a chiedere consiglio e noi rispondiamo: “Adesso non ho tempo”. Non si tratta ovviamente di una semplice strategia, ma della modalità con cui ci si dona. Ci si aspettava la risposta classica che identifica la vita spirituale con la preghiera, in realtà non c’è spiritualità presbiterale senza la passione per la gente. Stare con la gente stufa, ma è il popolo di Dio che ci è stato affidato! Accettare il mandato missionario comporta il lasciarsi stancare dalla gente, non difendere troppo la propria tranquillità. Un altro tratto della spiritualità presbiterale è l’umiltà. Il prete non deve parlare troppo di se stesso, non deve sentire il bisogno di specchiarsi nelle sue opere. La stanchezza che tante volte lo prende nel suo camminare tra la gente è quella della santità e non dell’autoreferenzialità. Il Papa invita a chiederci: «Sono uomo di strada? Di orecchio che sa ascoltare? Mi lascio stancare dalla gente?». E afferma: «Questo era Gesù, non ci sono altre formule. Farà bene a tutti i preti ricordare che solo Gesù è il Salvatore, non ci sono altri salvatori. E pensare che Gesù mai si è legato alle strutture, ma sempre si legava ai rapporti. Se un sacerdote vede che è legato alle strutture, qualcosa non va. Una volta ho sentito un uomo di Dio – possibile beato – che diceva che nella Chiesa si deve vivere al minimo di strutture e massimo di vita, e non il contrario. Senza il rapporto con Dio e con il prossimo niente ha senso nella vita di un prete: farai carriera, andrai in quella parrocchia che ti piace, ma il cuore rimarrà vuoto, perché il tuo cuore è legato alle strutture e non ai rapporti essenziali, con il Padre e con Gesù e con le persone». Anche la preghiera risentirà di questo stile. «Tu puoi pregare come un pappagallo, ma non è il modo giusto: invece incontra il Signore, stai zitto, lasciati guardare, di’ una cosa al Signore». Sto pensando alla nostra recita del Breviario, la grande preghiera della Liturgia delle Ore, fatta conoscere e amare anche ai laici. Sarebbe una cattedrale nel deserto se non profumasse di scarpe, non seguisse la cadenza del dialogo, non abitasse gli spazi che legano insieme il nostro vissuto con quello di tanti fratelli e sorelle che incontrandoci intravedono la finestra aperta sulla speranza.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.24 – 18 giugno 2017