La buona prassi pastorale

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SGUARDO PASTORALE

La buona prassi pastorale

C’è una prassi consolidata nella nostra pastorale e il suo valore affonda le radici sulla riflessione teologica e sulla tradizione. Pensiamo alla domenica, come giorno del Signore e della comunità, con la centralità della celebrazione eucaristica e le sue molteplici dimensioni; pensiamo alla preghiera liturgica, come la Liturgia delle Ore, a quella della pietà popolare, a quella personale e familiare; pensiamo al percorso catechistico e agli sforzi fatti negli ultimi decenni per tradurlo in itinerario per la vita cristiana più che per la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione; pensiamo all’impegno caritativo, non solo come conseguenza della fede professata ma come forma concreta della professione stessa della fede. Il cambiamento, tanto auspicato dall’esigenza di una rinnovata evangelizzazione e dalla spinta missionaria, non può saltare a pie’ pari questa prassi ma è chiamato a verificarne la forza rinnovatrice, purificandola semmai da elementi spuri che sono venuti ad agganciarsi nel tempo.

È questo il tracciato offerto dal vescovo Adriano giovedì scorso per focalizzare assieme al presbiterio i “punti nodali attorno ai quali impostare e sviluppare l’azione pastorale nelle nostre comunità” nell’ambito della Visita pastorale. Egli afferma esplicitamente che si tratta di qualificare e rinnovare quanto è già in atto. Potrebbe sembrare un’operazione “ad intra”, che riguarda cioè le dinamiche interne alle nostre comunità, ma in realtà è proprio qui che si alimenta un’autentica spinta missionaria. Egli annota, infatti, che “sarà decisivo per il futuro delle nostre Chiese suscitare la consapevolezza che la missione del servizio al Vangelo scaturisce dall’identità battesimale e crismale”, per cui “va ripensata la formazione alla missionarietà locale di uomini e donne che condividono la passione per il Regno e per il suo annuncio; è importante sensibilizzare e preparare adeguatamente al diaconato permanente; urge qualificare evangelizzatori, catechisti e operatori pastorali che condividano con i sacerdoti il servizio al Vangelo nel proprio territorio”. Solo a questa condizione la nostra sarà una buona prassi pastorale. Se “il momento penitenziale” della celebrazione eucaristica “stimola concretamente alla conversione e predispone all’invocazione della misericordia divina”; se “la proposta della Parola di Dio, ben proclamata e ben commentata nell’omelia, aiuta chi ascolta ad entrare nel mistero di Gesù morto e risorto, dell’amore suo e del Padre per noi, stimolando la risposta concreta a quell’amore nella propria vita”; se “le preghiere dei fedeli rispecchiano la situazione e le richieste della comunità dei fedeli”; se “riusciamo a creare «l’atmosfera» della «cena del Signore», sacrificio e banchetto di comunione”; se “i canti proposti sono espressione e condivisione della fede e della vita celebrate”. Sono ovviamente delle esemplificazioni che spingono ad analizzare tutti gli aspetti delle celebrazioni liturgiche e delle altre espressioni della pastorale. Pur nella sottolineatura del coinvolgimento e della corresponsabilità dei laici, emerge ancora più fortemente il ruolo del presbitero. A noi il vescovo torna a chiedere la “necessaria conversione (…) alla preghiera, alla passione per l’ascolto e l’annuncio della Parola di Dio, al dialogo, alla collaborazione e alla comunione tra presbiteri”.

Nell’annunciare poi il previsto sviluppo della Visita, con il lavoro dei Vicariati e la presenza più o meno ufficiale del vescovo, è stato introdotto il concetto delle sfide poste oggi alla nostra pastorale, delle quali è ineludibile mettersi in ascolto anche con la presenza del Pastore nei luoghi dove esse si esprimono. Una di queste sfide è senza dubbio il discernimento necessario per purificare la prassi pastorale da tutto ciò che è ridondante per andare al cuore dell’impegno di evangelizzazione della Chiesa.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.20 – 21 maggio 2017