La “Passione” secondo Matteo

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PAROLA DI DIO – Domenica delle Palme

La “Passione” secondo Matteo

Mt 26, 1-27,66: PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO ‘SECONDO MATTEO’.

Il racconto della passione è complesso e articolato e per questo di non facile lettura. Nessuna parte della vita di Gesù è narrata con tanti dettagli. La predicazione apostolica primitiva era incentrata sul racconto della morte e della risurrezione di Gesù, atto salvifico di Dio in cui è culminata la storia della salvezza. Ricordiamo che san Paolo predicava “Cristo e questi crocifisso” (1 Cor 2,2). Il racconto vero e proprio della passione, anche in Matteo, è preceduto da un’introduzione di sette scene (Mt 26,1-35) che preparano a cogliere il significato centrale del racconto stesso della passione e morte di Gesù. Esse sono: 1. Congiura dei capi contro Gesù; 2. Unzione a Betània: un gesto profetico di una donna; 3. Gesù venduto da Giuda; 4. Preparativi per la cena pasquale; 5. Uno di voi mi tradirà; 6. Gesù celebra la Pasqua; 7. Gesù annuncia l’abbandono dei discepoli. Queste sette scene evidenziano il contrasto tra il complotto delle autorità, l’incomprensione dei discepoli del gesto della donna verso Gesù, il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e l’abbandono dei discepoli, e la determinata volontà di Gesù di donarsi per loro, ‘mentre eravamo peccatori ’, direbbe san Paolo. In particolare sarà il racconto della Cena pasquale ad evidenziare che Gesù offre se stesso (il suo corpo e il suo sangue) come sacrificio (agnello del riscatto) che riscatta i discepoli peccatori (quattro volte in questa scena Gesù parla di ‘tradimento’) e vittima che inaugura la Nuova Alleanza. Tutto quello che seguirà è il prezzo che Gesù ha da pagare per la nostra salvezza. Il racconto della passione e morte di Gesù consta di 12 scene, ambientate in quattro luoghi diversi.

*Due scene al Getsemani (26,6-56): 1. Preghiera di Gesù; 2. Arresto. In queste due scene viene svelato come Gesù vive interiormente la sofferenza per l’abbandono dei discepoli e il rifiuto del suo popolo. Viene pure manifestato il suo rapporto con il Padre nella preghiera e obbedienza. Il suo atteggiamento di fronte alla ‘grande prova’ diventa lezione di vita anche per i suoi discepoli: come Gesù mediante la preghiera superò il momento decisivo della prova, così farà anche il discepolo.

*Tre scene nel tribunale ebraico (26,57-27,10) : 3. Gesù davanti al tribunale ebraico; 4. Pietro rinnega Gesù; 5. Il suicidio di Giuda. Al centro di tutto sta la scena di Gesù deriso e oltraggiato, inquadrata dal tradimento di Pietro. Fin dall’inizio è detto che il processo è condotto in modo insincero: i capi dei sacerdoti e gli anziani cercavano una falsa testimonianza su un capo d’accusa che giustificasse la legalità dell’arresto. Di fronte alle accuse Gesù tace, particolare che allude al Servo di Jahwè, di cui parla Isaia 53,7: “Maltrattato egli accettò l’umiliazione e non aprì la sua bocca, come un agnello condotto al macello”. Ma Gesù esce dal silenzio quando Caifa gli chiede di manifestare la sua identità, risposta data riferendo a se stesso due passi biblici: il Salmo 110,1, testo regale-messianico, e il profeta Daniele (7,13). Quanto basta perché Caifa incrimini Gesù di bestemmia: egli si fa uguale a Dio! Così si conclude l’istruttoria. La scena del suicidio di Giuda mette in risalto che Gesù è stato condannato ingiustamente: “Ho tradito il sangue innocente”, e: “Non è lecito mettere queste monete nella cassa del tempio perché sono prezzo di sangue”.

*Tre scene pure al tribunale romano (27,11-31): 6. Gesù davanti a Pilato; 7. “Lo consegnò perché fosse crocifisso”; 8. Gesù insultato. Il processo di Gesù di fronte a Pilato sviluppa il tema della regalità di Gesù: il titolo “re dei giudei” appare all’inizio e alla fine del racconto. Gesù è innocente: la moglie di Pilato lo chiama “uomo giusto” e Pilato stesso ne riconosce pubblicamente l’innocenza. Gesù è condannato innocente dal suo popolo come mostra anche la scelta tra Gesù e Barabba. Pilato consegna Gesù ai soldati per la crocifissione, ma prima del viaggio al Calvario ecco un’altra scena di oltraggio che tocca proprio la regalità di Gesù. In essa troviamo due dei temi maggiori che l’evangelista sottolinea: la regalità di Gesù e il suo rifiuto da parte del mondo. Una regalità ben diversa dagli schemi comuni: la regalità del mondo si manifesta nella potenza e nella salvezza di sé, la regalità di Cristo si manifesta nel servizio, nell’amore.

*Le ultime 4 scene hanno come ambiente il calvario (27,32-66): 9. Crocifissione di Gesù; 10. Agonia e morte di Gesù; 11. Sepoltura di Gesù; 12. La custodia della tomba. La scena del Cireneo “costretto a portare la croce dietro a Gesù” dice la prostrazione di Gesù, sfinito al punto che i soldati costringono un passante a portare la croce al suo posto. Nella scena della crocifissione, richiamata da Matteo con un semplice “Dopo averlo crocifisso”, attira lo sguardo del lettore direttamente sul Crocifisso, nel quale si realizza il Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. I tre cenni degli oltraggi a Gesù in Croce: “bestemmiare, prendersi beffa di lui, oltraggiare” mostrano Gesù nel più totale abbandono e insultato dai passanti. Il grido finale di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” è la preghiera di Gesù gridata a Dio per invocare la sua presenza in quel difficile momento evidenziato dal grande buio, prima che Egli “consegni lo spirito”, cioè quel soffio di vita che viene da Dio. Nella morte l’uomo riconsegna a Dio il soffio vitale ricevuto da lui in dono. Seguono alla morte di Gesù due segni che annunciano la morte di Gesù come salvezza. Il primo è la rottura del velo del tempio provocato dal terremoto, che “scuote la terra e spacca le rocce e fa uscire i morti”. Ma crolla anche la barriera sacra, “il velo del tempio”, che separava Dio dal suo popolo: segno che ora nasce una nuova umanità. La morte in croce è l’istante in cui crolla il mondo vecchio per far posto a un mondo nuovo, al culto nuovo, alla nuova via di comunione con Dio. Il secondo segno è la confessione del centurione. Non solo il centurione, ma l’intero corpo di guardia (“e quelli con lui”) riconoscono il Figlio di Dio nel Crocifisso. Il racconto si conclude con la sepoltura di Gesù di cui sono testimoni Giuseppe d’Arimatea e le donne, ma anche il presidio dei soldati, posti a custodia della tomba su richiesta giudaica “perché i suoi discepoli non vengano a rubare il corpo e dicano: è risorto”. Ma saranno proprio quei soldati a correre ad annunciare ai sacerdoti l’accaduto, anche se poi comprati con “una forte somma” per sostenere di trattarsi di trafugamento. La realtà della , lucidamente rifiutata con calunnie e corruzione, esploderà alle “luci dell’alba del terzo giorno…”. Buona settimana santa!

+ Adriano Tessarollo

Nuova Scintilla n.14 – 09 aprile 2017