La morale del mercato

ZENNA
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SGUARDO PASTORALE

La morale del mercato

Abbiamo concluso il corso di morale sociale alla scuola di formazione teologica. Dopo aver studiato, attraverso le encicliche dei papi, le diverse fasi dell’insegnamento della Chiesa sulle questioni che attengono alla vita e all’organizzazione della società, siamo approdati all’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco. Pur essendo stata scritta per rilanciare la missione evangelizzatrice della Chiesa, essa ha pagine illuminanti anche su questioni prettamente sociali.

Ci siamo soffermati ad analizzare soprattutto alcune sue affermazioni circa il mercato e le malattie che esso può contrarre quando non è guidato da un chiaro riferimento etico. Questo riferimento è la persona e i suoi diritti fondamentali, per cui non dovrebbe mai dare vita a “un’economia di esclusione e di diseguaglianza”. In realtà oggi fa più notizia il ribasso di un titolo in borsa che la morte di un clochard, si giustifica lo spreco o la distruzione di prodotti alimentari, a fronte di gente che muore di fame, per non far saltare le leggi del mercato. La persona viene dopo, non è più importante, si può benissimo “gettare”. Ciò che conta è il benessere, e ciò che lo impedisce o lo frena va scartato. Ci siamo talmente abituati a questa logica, è talmente iscritta nei meccanismi della difesa del “bene privato”, che la conseguente sofferenza dell’altro non ci colpisce più, ne siamo diventati indifferenti. Le relazioni più importanti le abbiamo stabilite con il denaro, idolatrato quasi nuovo “vitello d’oro”, e ci sottomettiamo alla sua dittatura perdendo i nostri stessi connotati di esseri umani. Il concetto di proprietà privata, che giustifica l’autonomia dei mercati e la stessa speculazione finanziaria, non può soffocare il grido di giustizia di tutti coloro che sono impossibilitati ad accedere ai beni essenziali per la propria sopravvivenza. Il mercato, il denaro, la proprietà devono essere messe al servizio e non costituire forme striscianti di potere, scandalosamente alimentate dalla corruzione.

Per richiamare i principi etici che consentirebbero di creare equilibrio e ordine sociale, e per sottolineare la comune destinazione dei beni, il papa cita San Giovanni Crisostomo: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. La proprietà deve essere compresa come un patrimonio pubblico, i bisogni dell’umanità devono avere la precedenza sulle pretese dei singoli individui alla proprietà privata, soprattutto quando sono in gioco le necessità dei fratelli più poveri e la salvaguardia dell’ambiente.

L’inequità poi è la causa di ogni forma di violenza, non solo per la prevedibile reazione di quanti si sentono esclusi, ma perché un sistema sociale ingiusto non può che comunicare ingiustizia con la sua forza nociva, scardinando le basi di qualsiasi pur solido progetto politico e sociale.

Un’azione pastorale in linea con questi richiami deve capire in quale modo può rendere attuale la testimonianza della prima comunità cristiana, secondo la sintesi che ne fa il libro degli Atti degli Apostoli: «Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (2,44-45); «Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (4,34-35).

don Francesco Zenna 

Nuova Scintilla n.14 – 09 aprile 2017