Vero uomo come noi pianse l’amico Lazzaro – Dio e Signore della vita lo richiamo dal sepolcro

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO – 5ª domenica di Quaresima – anno A

LETTURE: Ez 37, 12-14; Dal Salmo 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45

Vero uomo come noi pianse l’amico Lazzaro – Dio e Signore della vita lo richiamo dal sepolcro

Ez 37, 12-14: “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete”.

Talvolta ci troviamo a vivere situazioni che sembrano ‘mortali’, pesanti e senza vie di uscita, che non lasciano spazio alla speranza. Dopo anni di esilio e lontananza i Giudei sognavano di tornare alla loro terra, tra la loro gente, ma non intravvedevano alcuna possibilità di ritorno. Improvvisamente il profeta Ezechiele prospetta a questi Giudei deportati a Babilonia l’imminente possibilità di ritorno. Ma la sua profezia apre orizzonti inattesi: il Signore non solo li avrebbe liberati da quell’esilio, da quella condizione per loro ‘mortale’, favorendo il ritorno in patria, ma addirittura li avrebbe liberati dall’esilio eterno che è la morte, quale separazione da Dio e dagli uomini. Come? “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete… aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri… L’ho detto e lo farò”. È l’annuncio dell’effusione dello Spirito nel cuore di ognuno di loro, Spirito di Dio e Spirito di vita, per mezzo del quale, come dirà san Paolo, “riceveranno vita anche i vostri corpi mortali”.

Dal Salmo 129: “Il Signore è bontà e misericordia”.

Quale abisso può essere più oscuro e profondo della morte? Ma per l’uomo che vive nel tempo anche il peccato, che separa da Dio e dagli uomini, diventa un ‘abisso mortale’. Come è possibile la duplice risalita dall’abisso del peccato e dalla morte? Dall’abisso mortale del peccato si può essere liberati dallo stesso Signore, innalzando a lui la nostra preghiera nella certezza che egli tende l’orecchio per ascoltarla e apre il cuore per esaudirla: “perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione”. Per la preghiera, il pentimento e la fede il Signore libera dal peccato e dalla morte eterna, ristabilisce la comunione con il perdono e la riconciliazione e ci rende partecipi della sua vita divina.

Rm 8,8-11: “Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”.

I pochi versetti del brano odierno vengono tratti da una pagina (8,1-7) in cui l’apostolo Paolo descrive la novità della vita del battezzato come “vita secondo lo Spirito”. Essa è appartenenza a Cristo, condivisione del dono dello Spirito di Cristo e del Padre, vita libera dal peccato e dalla sua forza negativa e distruttrice e vita nella giustizia, come piace a Dio. Per il dono dello Spirito che abita in lui, il battezzato, in unione a Gesù, condivide la condizione di ‘figlio di Dio’, partecipando alla sua stessa vita divina, attraverso la vittoria sulla morte, come è stato per Gesù, ‘risuscitato dai morti’. Vincitori quindi sul peccato e sulla morte, per mezzo dello Spirito in unione a Cristo.

Gv 11,1-45:”Questa malattia non è per la morte… ma perché credano che tu mi hai mandato”.

Gesù prega il Padre perché risusciti Lazzaro dalla morte, anticipando con questo ‘segno’ quello che il Padre opererà in Lui, risuscitandolo dalla morte. Così Gesù rivela ciò che sarà dato ai credenti in Lui: la partecipazione alla vita eterna di Dio. Ognuno dei ‘sette segni’ raccontati nel vangelo di Giovanni conduce o riconduce il lettore alla fede in Gesù. Oggi ci è presentato Gesù Signore della vita e vincitore della morte: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. Ma che ritratto di Gesù esce da questa pagina del vangelo? In ‘quale Gesù’ siamo invitati a credere? Di lui si dice che “amava Marta e sua sorella e Lazzaro”; Egli parla di Lazzaro chiamandolo “il nostro amico”, come pure quando vanno ad annunciargli la malattia di Lazzaro gli dicono: “colui che tu ami è malato”. Quando poi incontra Maria e la vede piangere, e vede piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, “si commosse profondamente e fu molto turbato”, e una volta giunto al sepolcro “Gesù scoppiò in pianto”, tanto che i Giudei dissero: “Guarda come lo amava!”; e ancora si aggiunge che prima di pregare il Padre fu “ancora una volta commosso profondamente”. La vita di Gesù dunque è stata intessuta di relazioni di affetto e di amicizia, la cui rottura ha provocato anche in lui sofferenza, pianto e condivisione. Emerge poi un Gesù che non teme di farsi presente anche se sa che la sua vita lì, a Gerusalemme, correrà un serio pericolo: “poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. Un Gesù che prega con fiducia il Padre: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto…”. Infine un Gesù che si rivela come datore di vita nel nome del Padre e che richiede a Marta la fede: “«Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»”. La conclusione è che “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui”. Qual è la nostra fede in Gesù? Fede piena come quella di Marta?

+ Adriano Tessarollo

Nuova Scintilla n.13 – 02 aprile 2017