La donna da sposare

zenna
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SGUARDO PASTORALE

La donna da sposare

Torno ora dalla rianimazione. Ho fatto visita a un’anziana signora fisicamente provata dall’età e dalla malattia. Ricordo di averla conosciuta, appena prete, nel pieno della maturità, quando seguiva il cammino dei suoi tre figli che frequentavano il centro parrocchiale. Avevo poco più di vent’anni ed ero attratto proprio da queste mamme comuni che non cercavano il senso della propria esistenza nei piaceri effimeri di improbabili progetti edonistici, ma vivevano intensamente la loro vocazione. Mogli attente e premurose, capaci di trasmettere e coltivare equilibrio, serenità, fiducia, coraggio, anche di fronte alle difficoltà e ai sacrifici. Per nulla sottomesse o succubi, ma sicure delle proprie convinzioni e valori, compresi quelli religiosi, per i quali sapevano anche lottare con le armi della persuasione e della testimonianza. Mamme decise e accoglienti, che interpretavano la maternità non semplicemente come generazione biologica ma come arte per formare i figli ad essere uomini completi.

Mamme preoccupate del benessere economico, quindi prudenti e parsimoniose, scrupolose nella gestione dei guadagni del marito, visto che allora poche potevano essere inserite nel mondo del lavoro; mamme altrettanto protese al benessere sociale e relazionale, la cui casa era aperta agli amici, ai compagni di scuola e di oratorio, compreso il sacerdote animatore; mamme con il loro spessore spirituale, non costruito solo sulle devozioni ma sulle tradizioni del proprio contesto religioso, cui introducevano le giovani generazioni facendo splendere la bellezza di cuori semplici e di coscienze oneste: la vita della parrocchia, le celebrazioni liturgiche, l’impegno caritativo nel volontariato, le iniziative ricreative e artistiche, quali la musica e il canto. Non sto facendo un discorso teorico, ma descrivendo un vissuto di cui tante persone possono dare ancora testimonianza, pur riconoscendo la presenza degli inevitabili limiti umani. Sono diventate nonne dolci e delicate, che seguono con apprensione le scelte dei figli e li accompagnano con il consiglio, la presenza e anche con il silenzio, soprattutto le volte in cui si sentono spiazzate da cuori grandi che loro stesse non si rendono conto di aver maturato. Compagne fedeli, il cui amore è migliorato con gli anni perché ha saputo pian piano penetrare e andare ben oltre l’apparenza e, proprio quando l’esteriore svanisce, si trovano a contemplare la bellezza e la grandezza del dono che hanno ricevuto. Te ne accorgi quando il coniuge, accudito con pazienza e abnegazione, viene a mancare e si domandano che scopo ha ancora la vita per loro, non più abituate a pensare a se stesse senza l’altro. Sono consapevole di descrivere una donna che la cultura attuale ritiene d’altri tempi, perché i cliché propagandati dai mass media sono ben altri, come abbiamo sentito in questi giorni, finalmente con un pizzico di scandalo, e la pretesa emancipazione si appiattisce sugli stereotipi dell’apparenza e del piacere. Sì, una donna d’altri tempi, ma non solo in riferimento al passato, ma, io spero, anche al futuro, perché solo donne così ce lo possono garantire. Con l’augurio che rivolgo alla nonnina che ho benedetto in sala di rianimazione di poter veder crescere il pronipotino, propongo una riflessione che ha sapore pastorale, perché questa visione della donna, matura e cresce nell’ascolto della Parola e nella vita della comunità cristiana.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.12 – 26 marzo 2017