Clericalismo di ritorno

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SGUARDO PASTORALE

Clericalismo di ritorno

 “Il parroco sono io. È mia la responsabilità della fede e della morale. Nella parrocchia rappresento Gesù Cristo e mi si deve obbedienza. Non posso permettere che certe idee moderniste cambino il volto della Chiesa». Leggevo queste espressioni nell’ultimo numero della rivista “Vita Pastorale”, attribuite ad un giovane presbitero posto dal vescovo a guidare una comunità cristiana assai vivace per la disponibilità di tanti laici, formati alla partecipazione e alla corresponsabilità. “Pian piano ha allontanato dalla comunità i collaboratori – racconta il diacono permanente che lavorava in quella parrocchia – e tutte le persone che l’avevano fatta crescere e la sostenevano, rimpiazzati da tante altre persone alle quali andava bene il Dio annunciato da questo parroco: uno che castiga, giudica, punisce in base ai tuoi peccati”. Un clericalismo di ritorno, la religione degli scribi e dei farisei, una predicazione solo moralistica, fondata sulla denuncia del peccato e delle sue conseguenze, capace di generare sensi di colpa e non fiducia nell’amore del Signore, non la speranza e la gioia di una buona notizia per la vita di tutti e di sempre. È solo un episodio isolato, oppure la denuncia di una frequente involuzione, determinata dalla paura e dall’insicurezza, o, non oso pensarlo, dall’arroganza e dalla smania di potere? Certamente si tratta dell’oscuramento di alcune acquisizioni del Concilio che papa Francesco sta rilanciando e che vengono salutate positivamente dalla maggioranza dei credenti: i laici sono parte del popolo di Dio e protagonisti della Chiesa e del mondo.

Nell’aprile dello scorso anno, a conclusione di una plenaria dei vescovi dell’America Latina sull’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica, il papa scriveva al card. Ouellet: «Guardare al popolo di Dio è ricordare che tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento è il battesimo. La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è l’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il santo popolo fedele di Dio. Esso è unto con la grazia dello Spirito Santo, e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione». Anche il nostro vescovo ha richiamato più volte l’esigenza di un dialogo fecondo tra presbiteri e laici, che apra i primi alla consapevolezza che lo Spirito agisce anche nei fedeli laici, e stimoli i secondi a maturare il senso di un’appartenenza alla Chiesa non passiva e pretenziosa, ma attiva e responsabile. Sta qui il futuro delle nostre comunità cristiane, anzi del cristianesimo stesso, in quanto il suo volto autentico e credibile si manifesta oggi più nella vita delle famiglie, nell’impegno professionale, nella logica dell’accoglienza e della solidarietà, che tra le mura delle nostre chiese e nelle stanze delle nostre opere parrocchiali. Il clericalismo tende a scavare ancora più profondo il fossato che separa liturgia e vita, valuta lo spazio del sacro come unica risorsa per giungere alla salvezza e ritiene ogni opera profana portatrice quantomeno di ambiguità. Il gruppo di lavoro che ha trattato questo tema nell’ultima riunione del Consiglio pastorale diocesano auspica da parte dei laici il desiderio di un’adeguata formazione e da parte dei presbiteri il coraggio di interrompere la corsa sfrenata a soddisfare tutte le esigenze legate al culto e fermarsi a incontrare, ad ascoltare, a valorizzare. Il contrario del clericalismo, allora, non è l’enfasi posta sul laicato, ma l’umiltà di sapersi parimenti amati, redenti e inviati dallo Spirito ad annunciare al mondo la “gioia del vangelo”.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.7 – 19 febbraio 2017