Un passo verso il reddito di cittadinanza

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S. I . A. Sostegno inclusione attiva

Sussidio economico e progetto di attivazione lavorativa: dialogo tra Caritas e Comuni

Un passo verso il reddito di cittadinanza

La sentiremo spesso questa parola: SIA acronimo di Sostegno Inclusione Attiva perché dal 2 settembre entra in vigore il Decreto Ministeriale del 26 maggio 2016. La SIA è una misura di contrasto alla povertà che prevede un sussidio economico alle famiglie in condizioni disagiate e nelle quali ci sia almeno un figlio minorenne o una donna in stato di gravidanza accertata.

Per godere del beneficio – che successivamente nei prossimi anni sarà esteso anche a famiglie disagiate in assenza di minori – si dovrà progettare e aderire ad un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa. Di fatto questo rappresenta il primo passo per quel reddito di cittadinanza di cui manca nel nostro paese un’organica impostazione. Il progetto viene costruito dai Servizi Sociali insieme al nucleo familiare sulla base di una valutazione globale non solo della persona ma dell’intero nucleo familiare. Si andrà ad istaurare un patto tra i servizi pubblici e le famiglie, che implica una reciproca assunzione di responsabilità e di impegni. Le attività possono riguardare i contatti con i Servizi, la ricerca attiva di lavoro, l’adesione a progetti di formazione, la frequenza e l’impegno scolastico dei figli, la prevenzione e la tutela della salute. L’obiettivo è quello di aiutare la famiglia come complesso sistemico a superare le condizioni di povertà e riconquistare gradualmente l’autonomia. Viene quindi ad esaurirsi – almeno gradualmente e nelle intenzioni del legislatore – la cultura del sussidio a pioggia o assistenzialistico che tanto ha pesato nella mentalità (e nelle economie) dei nostri comuni. Il testo fa proprio – anche se non in toto – le intuizioni che il mondo del terzo settore aveva sviluppato in questi ultimi 10-15 anni. L’aiuto come accompagnamento e come processo educativo per l’autonomia. Anche il Terzo Settore potrà essere coinvolto nelle diverse fasi della progettazione; così che associazioni di volontariato, cooperative, fondazioni potranno co-progettare percorsi di inclusione sociale.

Su questa novità legislativa è utile fare alcune riflessioni/considerazioni pastorali. Come e in che modo una normativa afferente alle problematiche del welfare possono utilmente intercettare la nostra pastorale, in particolare l’attenzione alla famiglia come soggetto che più soffre problematiche legate alla povertà e al disagio? In realtà su questi temi da tempo esiste a livello di Uffici Nazionali un interessante dialogo e confronto tra Caritas Italiana e Ufficio Pastorale della Famiglia, anche con alcune esperienze molto positive. Su questo desidero ricordare come in uno specifico Tavolo di lavoro ci sia stata la partecipazione di Mattia De Bei con la l’esperienza della Comunità Familiare “Le acque di Siloe”. È anche vero che altre tracce di esperienza hanno – sempre nella nostra diocesi – prefigurato questo quadro collaborativo. L’housing sociale, l’Emporio Solidale e il Fondo di Solidarietà per il Lavoro, sono stati tutti strumenti che hanno aiutato prevalentemente le famiglie, più che i singoli in difficoltà. Così come a metà degli anni novanta la legge sull’infanzia e l’adolescenza – chiamata la Legge 285 – è stata un volano per la nascita nel nostro territorio di esperienze legate ai minori come ludoteche, centri diurni e comunità di accoglienza, allo stesso modo si spera che oggi una chiesa attenta a queste novità legislative, sappia investire in competenze, professionalità e prospettive anche lavorative su un laicato che oramai dovrà essere protagonista nel campo dei servizi alla persona. La tematica sulla famiglia evidentemente non si esaurisce in questa nota, perché è molto più vasta e molto più ampia e comprende anche aspetti e dimensioni sulle quali la legge civile non entra. Ma la domanda su cosa fa la Chiesa per le famiglie povere e in difficoltà economica può trovare in questa SIA un buon banco di prova per aiutarci a pensare, riflettere e agire. Saremo capaci di far questo? Segnali positivi sembrano esserci, l’importante è saperli coltivare. Intanto le Caritas del Nord Est stanno già iniziando una riflessione che potrà coinvolgere i Comuni della nostra regione ecclesiale.

mc