“Siate pronti…”

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO – 19ª domenica del tempo ordinario C

LETTURE: Sap 18,6-9; Dal Salmo 32; Eb 11,1-2.8-9; Lc 12,32-48

“Siate pronti…”

Sap 18,6-9. “La notte (della liberazione) fu preannunciata ai nostri padri…”.

Nei cc.10-19 l’autore passa in rassegna la storia, da Adamo a Mosè, mostrando come Dio è sempre stato presente come giusto giudice e salvatore. Ma è soprattutto sull’Esodo che si concentra la sua attenzione, rievocando un passato salvifico del popolo, rileggendolo come promessa e annuncio ed anticipo del giudizio finale di Dio. È stato diverso il trattamento fatto per peccatori e per giusti: i primi vinti e puniti, i secondi benedetti e salvati. La notte della pasqua dell’esodo è detta “preannunciata ai nostri padri” e l’insieme delle promesse fatte ai patriarchi hanno trovato realizzazione nell’evento di liberazione dell’Esodo. Il popolo d’Israele (tuo popolo) in Egitto era in attesa dell’evento pasquale di liberazione per loro (giusti) e di giudizio per gli altri (nemici). E tale attesa fu realizzata: “Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te”. L’uscita dall’Egitto è interpretata come una chiamata all’alleanza di cui la pasqua rimane il memoriale che tutti gli anni Israele celebra e che è ricordata in Israele dal dono della Legge. Tutta la storia è vissuta come promesse di Dio che trovano realizzazione, in vista di promesse sempre più grandi e definitive che Dio porta a compimento per il suo popolo.

Dal Salmo 32. “Beato il popolo scelto dal Signore”.

Il salmo 32 canta la provvidenza di Dio che governa con giustizia e rettitudine il mondo che ha creato. Ma il Signore guida anche le sorti della storia: ha un progetto che realizza anche contro chi vi si oppone. Egli si è scelto un popolo, ma veglia su tutti. Oggetto particolare della sua cura sono coloro che vivono nell’obbedienza a lui, che pongono la loro speranza nella sua benevolenza: ad essi Egli offre sostegno e liberazione. Il salmo si conclude con l’invito a dare spazio alla fiducia nel Signore e di mettersi nelle condizioni richieste per godere della cura del Signore: “L’anima nostra attende il Signore… sia su di noi il tuo amore, in te speriamo”.

Eb 11,1-2.8-9. “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”

La parte finale della lettera agli Ebrei, che ascolteremo per alcune domeniche, pone al centro il sacrificio di Cristo, che va visto alla luce della fede e della perseveranza. Per 18 volte nel capitolo 11 ricorre il ‘ritornello’: “Per fede…”. Di essa abbiamo prima una definizione ‘teorica’ e poi la sua concretizzazione nella storia di personaggi biblici. Nella definizione, fede e speranza sono messe in relazione con ciò che ancora ‘non si vede’. La speranza riguarda realtà non ancora presenti, ma delle quali la fede è fondamento. In tutta la rassegna dei personaggi di Ebr 11,4-38 sono compresenti sofferenza attuale e speranza futura. Oggi ascoltiamo di Abramo e Sara, attori di una storia di fede e testimoni “di qualche cosa di meglio” che Dio aveva predisposto. In Abramo la fede è fiducia e obbedienza che lo mette in cammino (Gen 12,1-9). Diventa poi fiducia incrollabile per tutto il tempo in cui la promessa non si realizza e si trova a vivere straniero nella terra di Canan, in attesa di diventarne possessore. Quel ritardo apre orizzonti più grandi alla fede. Per Sara la fede è contare sulla fedeltà di Dio che non lascia andare a vuoto le sue promesse, anche se le condizioni umane portano a pensare il contrario: “…sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre…”. Dato che i due non hanno visto realizzate le promesse in vita, scrive l’autore, essi sono morti nell’attesa della loro realizzazione. Siccome Dio è fedele le promesse si sono realizzate nel possesso della patria celeste. Il fidarsi ciecamente di Dio fino a sacrificare il figlio Isacco su cui poggiavano tutte le sue speranze: la vicenda di Abramo e del suo figlio diventa preannuncio del sacrificio di Cristo. Questa è la realtà migliore nella quale “noi” (i cristiani) speriamo: “per questo lo riebbe e fu come un simbolo”.

Lc 12,32-48. “Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna…”

La forma lunga raccoglie detti, parabole e immagini che invitano la comunità dei discepoli a vivere nella prospettiva del giudizio di Dio di fronte al quale i discepoli non devono farsi trovare impreparati. La comunità tanto piccola non deve spaventarsi di fronte al compito di portare la parola del Maestro al mondo: “Non temere, piccolo gregge…”. Il suo punto di forza è che “al Padre è piaciuto dare a voi il regno”. E che dire dei beni di questo mondo? Qual è la loro destinazione? La disponibilità a condividerli con i poveri predispone e prepara un tesoro che non è soggetto a usura o a furti, perché è sicuro presso il Signore e lo si troverà quando ci si presenta per il giudizio. Su quel tesoro si devono concentrare pensieri e scelte del cuore. “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”: come per una partenza di notte, quando ordinariamente si dovrebbe dormire, come era avvenuto nella pasqua dell’uscita dall’Egitto: il Signore è passato di notte e gli Israeliti, pronti, hanno potuto mettersi in viaggio verso la liberazione! Vivere in attesa del ritorno del ‘padrone’, del ritorno ultimo di Cristo farà la felicità e meraviglia dei servi preparati ad accoglierlo: si sentiranno invitati a mensa per essere serviti da Lui stesso. La parabola del ‘ladro’ che arriva improvvisamente di notte mette in guardia dallo stancarsi di vigilare, cedendo all’illusione che il ladro non venga: ogni ora può essere quella buona per la venuta del Figlio dell’uomo. Infine, la domanda di Pietro sposta la prospettiva su chi nella comunità ha ricevuto dei compiti di responsabilità, che deve restare sempre ‘servizio’ senza mai trasformarsi in abuso di potere. Se così non fosse, al giudizio egli sarebbe escluso dalla comunità dei salvati e posto “tra gli infedeli”. Conoscere la volontà del Signore e l’essere investito di responsabilità nella comunità non è motivo di gloria personale ma di obbedienza e di servizio, di cui si dovrà rendere stretto conto a Dio.

+ Adriano Tessarollo

(da “Nuova Scintilla”, n. 31 del 7 agosto 2016)