Circostanze, norme e misericordia

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LO SGUARDO PASTORALE

Circostanze, norme e misericordia

“Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta «irregolare» vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. E i limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma, ma un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”. Questo passo del capitolo 8° introduce il concetto delle circostanze attenuanti. Le riconosceva lo stesso San Tommaso, ne parla anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, per cui i padri sinodali riconoscono che «in determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso». Viene richiamato perciò il valore fondamentale del discernimento pastorale. “Pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni”, perché “anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”.

Il riferimento alle norme generali permette di avere sempre davanti il bene, che non va disatteso né trascurato, ma esse “nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari”. Così come “ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”. A questo punto l’analisi del papa si fa severa: “Pertanto, un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni «irregolari», come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone.

È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”. Il discernimento consiste proprio nel saper cogliere le strade attraverso le quali è possibile rispondere alla chiamata del Signore anche attraverso i propri limiti. “È possibile”, infatti, “che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia oggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità”. In calce a questo testo, così chiaro e liberante, l’esortazione pone una nota con la quale apre anche alla possibilità di ricorrere all’aiuto dei sacramenti da parte di persone che si trovano in situazioni irregolari. E cita un passo della “Evangelii Gaudium”, in cui sempre papa Francesco diceva ai sacerdoti “che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore”, e ancora che l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.

A conclusione di questo capitolo 8° il papa si preoccupa di fugare il dubbio che con questa visione si intenda fare degli sconti sull’ideale pieno del matrimonio in tutta la sua grandezza. Esso va proposto ai giovani battezzati con coraggio, senza “tiepidezza” e “qualsiasi forma di relativismo”. La pastorale della Chiesa deve essere più preoccupata di “consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” piuttosto che dirimere sui “fallimenti”. Tuttavia egli ribadisce la linea della misericordia e della pazienza, perché sia comunque valorizzato e non delegittimato il “bene possibile”. Gesù vuole che la Chiesa agisca come una madre, compia la sua missione di testimone della misericordia “cuore pulsante del Vangelo”, insegni una morale che riconosca “il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio”, ponga tutti, “i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse” e i “pastori”, nella logica della comprensione, del perdono, dell’accompagnamento, della speranza e soprattutto dell’integrazione.

don Francesco Zenna