Signore, insegnaci a pregare

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO – 17ª domenica del tempo ordinario

LETTURE: Gen 18,20-32; Dal Salmo 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13

Signore, insegnaci a pregare

Gen 18,20-32. “Forse il giudice della terra non praticherà la giustizia?”

La giustizia di Dio sembra non corrisponde alla giustizia umana. Dio ode il grido che sale da Sodoma: solitamente è il grido di oppressi che sale fino a Dio (Es 3,7.9; Is 5,7). Questa volta è la voce del peccato che sale a Dio il quale, nella sua funzione di giudice, apre l’inchiesta: “Voglio scendere e vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!”. Ora, tra l’inchiesta e l’esecuzione della sentenza di condanna, viene inserita una perorazione di Abramo presso Dio in difesa dei pochi giusti. In quella città bene e male convivono. “Davvero sterminerai il giusto con l’empio?”, obietta Abramo. È posto così il problema della responsabilità personale rispetto ad una concezione collettiva della punizione, evidenziando la funzione di Abramo come intercessore e la funzione del giusto nella comunità: grazie a lui il castigo della comunità può essere dilazionato, in vista di una possibile conversione. Il racconto diventa una specie di contrattazione da parte di Abramo che tende a strappare a Dio il massimo di considerazione dei pochi giusti presenti a favore dell’intera comunità. È un anticipo dell’opera del ‘servo giusto’ di Isaia 53,11 che ‘giustificherà molti’, giustificazione che si realizzerà pienamente in Cristo quando, come scrive Paolo in Rm 3,23-24: “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono stati giustificati gratuitamente per la sua grazia in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù”. La giustizia del ‘giudice della terra’ si mescola con la misericordia che ha il sopravvento in chi la riconosce e la accoglie.

Dal Salmo 137. “Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto”.

Con il Salmo 137 siamo invitati a rendere grazie al Signore. Il rendimento di grazie coinvolge tutta la persona, nel suo aspetto interiore, esteriore e comunitario e ha la sua motivazione sulla fedeltà e misericordia di Dio la cui azione salvifica si mostra più grande di quanto l’orante aveva sentito raccontare. In un momento difficile l’orante ha invocato Dio e ne ha avuto risposta e aiuto. La sua presenza nella storia delle persone è davvero grande: lui, l’Eccelso, si china verso i più bassi, gli umili. L’esperienza passata della sua presenza apre il cuore alla speranza: anche nei pericoli mortali Dio rivelerà ancora la sua forza vitale. Per il suo amore fedele Dio condurrà a buon fine l’opera che ha cominciato. L’apostolo Paolo scrive in Fil 1,6: “Sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento…” e in 1Ts 5,24 rassicura: “Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo”.

Col 2,12-14. “Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati…”.

Questa piccola ‘scheggia’ della lettera ai Colossesi, è parte della lettera dove l’apostolo mette in guardia dai pericoli che la loro fede sta correndo, a causa di false dottrine che circolano nella comunità. La salvezza della Comunità viene da Cristo e non dalle prescrizioni delle tradizioni umane, e neppure dagli esseri angelici: “È in Cristo che abita corporalmente la pienezza della divinità…”. La novità della vita cristiana consiste nell’essere stati “con Cristo sepolti nel battesimo e in lui risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti”. Il battesimo realizza e manifesta che il cristiano è associato alla morte di Cristo spogliandosi e morendo all’uomo vecchio toccato dal peccato e dalla morte, ed è reso partecipe della nuova vita divina del Cristo risorto. Questa liberazione e vita nuova gli viene per mezzo della fede per la quale egli è “perdonato da tutti i peccati”. Nell’ultimo versetto Paolo parla di un documento scritto che attesta il nostro debito nei confronti di Dio, ma ora con la morte di Cristo sulla croce questo documento è stato annullato. Grazie a Cristo dunque ora noi siamo popolo di salvati, rinati a vita nuova, riammessi alla comunione con Dio. Non si cerchi altrove la salvezza, ma in Cristo e nella sua opera.

Lc 11,1-13. “…quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito a coloro che glielo chiedono!”.

Cosa chiedere nella preghiera e come chiedere? Lo chiediamo a Gesù Maestro di preghiera. I discepoli vedono spesso Gesù assorto in preghiera e si chiedono: come si rivolgerà a Dio e cosa gli chiederà? Un discepolo a nome degli altri gli chiede: “Signore, insegnaci a pregare…”. Il primo atto della preghiera di Gesù e del discepolo è di confessare Dio come ‘Padre’. Gesù ci spinge ad un rapporto di comunione confidenziale e filiale con Dio, che nella preghiera diventa dialogo fiducioso e filiale. La relazione unica che Gesù ha col Padre è offerta anche agli stessi suoi discepoli. È questa relazione la porta della preghiera. “Sia santificato il tuo nome!”. È la santità di Dio che deve essere fatta conoscere a tutti gli uomini perché egli sia riconosciuto per quello che è. “Venga il tuo regno! Sia fatta la tua volontà”. La sua volontà di salvezza culminata nella risurrezione del Figlio sarà finalmente portata a compimento: questo deve invocare il figlio dal Padre. Le tre richieste successive riguardano i bisogni della vita di tutti i giorni dei discepoli: il pane di ogni giorno. Si noti la sottolineatura lucana: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”, cioè il necessario per quel giorno, da chiedere ogni giorno. Il cristiano ha anche consapevolezza che il peccato tocca quotidianamente il suo vivere per cui ha bisogno continuamente del perdono del Padre, fino a quando Dio non lo libererà definitivamente da ogni peccato. C’è pure un rapporto tra perdono chiesto a Dio e perdono concesso ai propri ‘debitori’. Ogni giorno è invocato il perdono da Dio dai discepoli che pure hanno bisogno di offrirsi quotidianamente il perdono reciproco. L’ultima richiesta “non ci indurre in tentazione” ha di mira soprattutto la condizione del cristiano che è passato dal peccato alla salvezza. Le condizioni di difficoltà, di opposizione e di persecuzione in cui il credente si trova a vivere lo possono indurre a cadere nella condizione precedente, abbandonando la fede. La preghiera chiede a Dio di non porre il credente in situazioni che possono essere pericolose per la sua stessa fede. Una breve parabola poi mostra come la preghiera debba essere insistente e fiduciosa, anzi, insistente perché fiduciosa. La parabola porta a concludere che non è possibile che Dio non venga incontro ai bisogni dell’uomo. Sospendere la preghiera vorrebbe dire avere perso la fiducia che Dio ascolti e venga in aiuto. Infine abbiamo una triplice esortazione a pregare, con la certezza che ci sarà una risposta positiva: chiedere, cercare, bussare. Ma se non si riceve sempre quello che si chiede e non si trova sempre quello che si cerca, significa che Dio non ascolta? Gesù risponde all’obiezione confrontando la paternità terrena con quella celeste. Quale padre terreno dà qualcosa di mortale (serpe, scorpione) al figlioletto che gli chiede cibo per vivere (pesce e uovo)? Volete che Dio, che è pure Padre, sia da meno? Anzi, darà molto di più di quello che si chiede! Egli darà quello che Lui sa essere davvero più importante per la vita dei suoi figli, darà sicuramente il dono vitale per eccellenza, lo Spirito Santo, a coloro che glielo chiedono.

+ Adriano Tessarollo