L’amore di Dio prevale sul peccato dell’uomo

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO  – 11ª domenica del tempo ordinario C

LETTURE: 2 Sam 12,7-10.13; Dal Salmo 31; Gal 2,16.19-21; Lc 7,36-8,3

L’amore di Dio prevale sul peccato dell’uomo

2 Sam 12,7-10.13. “Il Signore ha rimosso il tuo peccato”.

Compito del profeta Natan (la Parola di Dio) è portare il re David a riconoscere la gravità del suo peccato, che risulta tra l’abissale distanza dell’iniziativa gratuita con la quale Dio ha riempito Davide di tanti benefici e l’ingratitudine e l’insaziabile bramosia di Davide per la quale egli ha ‘disprezzato’ la Parola del Signore. Davide infatti disprezza la Parola del Signore violando i Comandamenti con l’impossessarsi di Betsabea, moglie di un suo fedele servitore e facendolo addirittura uccidere. Tale disprezzo della Parola dell’Alleanza porta con sé pesanti conseguenze su chi lo compie e merita il castigo divino. Ma ci sarà una via di uscita o rimane solo il castigo e il rifiuto per sempre? La via è data dal riconoscimento del proprio peccato, la richiesta sincera di perdono e dall’intraprendere un cammino che riporti all’obbedienza della Parola del Signore. Tutto questo cammino è riassunto nelle parole di Davide, che sappiamo poi seguite anche da corrispettivi gesti di conversione: “Ho peccato contro il Signore”. Di fronte a questa ‘confessione e invocazione’ giunge, attraverso la stessa voce del profeta che aveva denunciato il peccato di Davide, la risposta ‘misericordiosa’ del Signore: “Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai”. Abbiamo qui anticipato lo schema del Sacramento della Confessione, della Conversione (Penitenza), del Perdono e della Riconciliazione.

Dal Salmo 31. “Togli, Signore, la mia colpa e il mio peccato”.

È delineato nel Salmo un vero e proprio itinerario penitenziale interiore. L’acclamazione iniziale è fondata sul perdono e sulla cancellazione del peccato e della punizione che esso richiederebbe. È richiesta però la rettitudine, la sincerità cioè che porta a riconoscere il proprio peccato, a non volerlo nascondere, quasi ad assolvere se stessi: “Confesserò al Signore le mie iniquità”. Sarà il Signore a condonare l’offesa ricevuta: “Tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”. Il riconoscere con rettitudine porta con sé la decisione di non continuare a peccare, perché si è compresa la gravità dell’offesa e la conseguente punizione che essa merita, ma che può venire rimessa solo per la misericordia dell’offeso, non per propria autoassoluzione. Il perdono porta poi a proclamare la vera realtà di Dio misericordioso e pietoso: “Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia…”. Dal perdono esplode la gioia nel cuore di chi sinceramente si presenta davanti al Signore per intraprendere col suo perdono e il suo aiuto un cammino di liberazione dal peccato: “Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia”.

Gal 2,16.19-21. “Questa vita che vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio…”.

Principio di vita nuova per il cristiano è la sua fede in Gesù Cristo, per la quale in lui ora “vive Cristo”, il Figlio di Dio, che lo ha amato fino a consegnare sé stesso alla morte per ciascuno: “per me” scrive san Paolo. Con questa precisazione san Paolo sottolinea che Gesù si è donato personalmente non per una ragione collettiva, ma per una motivazione personale, cioè proprio per ciascuno di noi. Questa è la “grazia divina” che non va resa vana rifiutando di partecipare alla vita di Cristo, accogliendo il frutto della sua crocifissione con la nostra personale morte al peccato. La nostra santificazione personale non è frutto dell’insieme delle norme e proibizioni che vengono dettate dalla Legge, dall’esterno, ma di quella forza interiore che viene dalla nostra unione con Cristo che accogliamo nella fede e che ci unisce alla vittoria di Cristo sul peccato e ci rende partecipi della vita del Risorto: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”.

Lc 7,36-8,3. “Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato”.

Un giorno Gesù accettò l’invito a pranzo in casa di un fariseo. Mentre era a tavola “una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo… e piangendo, cominciò a bagnare i suoi piedi di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.”. Vedendo questo, Simone, che aveva invitato Gesù, ha dedotto che Gesù non doveva essere quel profeta che si diceva, altrimenti avrebbe saputo riconoscere che razza di donna era quella “peccatrice”. Quindi non dovrebbe neanche farsi toccare da lei, facendosi così contaminare dal suo peccato. Gesù invece si rivela profeta intuendo i pensieri e giudizi che passano per la mente di Simone e gli rivela il suo diverso atteggiamento nei confronti di quella donna. Egli vede in quei gesti della donna una confessione di fede in Lui e nella sua missione di perdono e di salvezza, cosa di cui invece Simone dubitava; quei gesti dunque esprimevano la richiesta di perdono e l’atto d’amore verso di Lui, sentimenti che Simone, giudice severo, non aveva colto. Perciò Gesù dà la sua spiegazione a Simone: “…sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato…”. Poi si rivolge personalmente alla donna e dice: “I tuoi peccati sono perdonati… La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”. Due approcci diversi di fronte a ‘donne come questa’: quello esteriore di Simone, persona molto religiosa, che è preoccupato di salvaguardare Gesù dal contatto con lei, violando così il precetto fissato dalla tradizione di non contaminarsi con il contatto fisico con i peccatori; quello di Gesù che, lasciando perdere l’imbarazzo per la situazione di irregolarità venutasi a creare per quel contatto, legge invece nel profondo del cuore della donna e, invece di trattarla da pubblica peccatrice, la dichiara perdonata dai peccati passati per la fede e l’amore che sta ‘professando’ ora. Gesù, anziché pronunciare un giudizio di condanna in base alla legge esteriore, proclama una sentenza di perdono per quanto sta accadendo dentro al cuore e nella vita di quella donna: “La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!”. L’evangelista Luca poi non si vergogna di segnalare come tra i discepoli di Gesù ci fossero, “alcune donne guarite da spiriti cattivi, e da infermità… e Maddalena dalla quale erano usciti sette demoni”. Una comunità dunque, quella di Gesù, fatta non di accigliati perfetti, ma di peccatori perdonati e liberati e convertiti all’amore.

+ Adriano Tessarollo