La fecondità dell’amore

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SGUARDO PASTORALE

La fecondità dell’amore

La fecondità è nella natura stessa dell’amore. La fecondità però – specifica il Papa – consiste innanzitutto nell’accogliere “la vita che arriva come dono di Dio”. I figli, infatti, sono amati da sempre e la loro venuta è segnata dalla gratuità, non può essere programmata come un capriccio o un diritto da soddisfare ad ogni costo. Va superata anche la cultura dello scarto nei confronti di quelle vite che vengono definite degli “errori” per assumere “la responsabilità di accoglierle con apertura e affetto. Perché – continua il testo – quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla prepotenza degli uomini”. Non è un concetto nuovo. Questo, come tutti gli altri che costituiscono il telaio di questo capitolo quinto dell’Amoris laetitia, sono presi da una serie di catechesi tenute nei primi mesi del 2015. Questo amore gratuito di accoglienza matura proprio nel periodo della gravidanza. “Difficile” e “meraviglioso” insieme, il tempo in cui il bambino si forma all’interno di una madre rende quella donna consapevole di essere partecipe, fin dal momento del concepimento, di un progetto di Dio, del sogno eterno del Creatore. È da qui che prende avvio quell’amore materno e paterno di cui il figlio ha bisogno “per la sua maturazione integra e armoniosa”. Ancora una volta sorprende la finezza psicologica con cui Papa Francesco descrive questi due amori, necessariamente legati tra loro ma con le loro specificità: “la tenerezza, la dedizione, la forza morale” da una parte e l’autorità che orienta e aiuta a maturare dall’altra. Lapidaria l’affermazione: “la verità è che i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti”.

Alle “coppie di sposi che non possono avere figli” viene ricordato che “il matrimonio non è stato istituito soltanto per la procreazione (…) ma esso perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità”. Ci sono comunque altre vie per realizzare la maternità e la paternità. Sono soprattutto l’adozione e l’affido. Esse “mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo”. La fecondità dell’amore poi si sviluppa anche nell’impegno sociale, perché la famiglia è profondamente inserita nel mondo, dove è attesa “a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il compito di rendere domestico il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello”. Molto incisivo a questo riguardo l’accenno al mistero eucaristico, letto nel contesto paolino di una comunità divisa tra ricchi e poveri, che invita ad “aprire le porte della propria famiglia ad una maggiore comunione con coloro che sono scartati dalla società”.

La vita della famiglia non si riduce dunque al “piccolo nucleo”. Essa comprende “i genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini”. E il Papa sosta a descrivere nella concretezza la ricchezza delle relazioni con i genitori, compresi i suoceri, con gli anziani, tra fratelli e sorelle, per arrivare ad affermare che “a partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società”.

don Francesco Zenna