L’amore nel matrimonio

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SGUARDO PASTORALE

L’amore nel matrimonio

Senza l’amore dei coniugi il vangelo del matrimonio resta un discorso teorico. Il quarto capitolo dell’esortazione “Amoris laetitia” lo illustra a partire dall’“inno alla carità” dell’apostolo Paolo. Il Papa ne fa una vera e propria esegesi attenta, puntuale, ispirata e poetica, con la quale ci offre una collezione di frammenti che descrivono l’amore umano in termini assolutamente concreti. Si resta colpiti dalla capacità di introspezione psicologica che segna questa esegesi. L’approfondimento psicologico entra nel mondo delle emozioni dei coniugi – positive e negative – e nella dimensione erotica dell’amore. Si tratta di un contributo estremamente ricco e prezioso per la vita cristiana della coppia, che non c’è mai stato finora in precedenti documenti del magistero.

Esso esprime tutta la consapevolezza della quotidianità dell’amore che è nemica di ogni idealismo: «non si deve gettare sopra due persone limitate – scrive il Pontefice – il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio». Ma d’altra parte il Papa insiste in maniera forte e decisa sul fatto che “nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo”, sia pure all’interno di quella “necessaria combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri” che è appunto il matrimonio. L’elemento centrale di questo amore è la capacità di cogliere e apprezzare “«l’alto valore» dell’altro”.

Questo valore “non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche” ma è gratuito, “permette di gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosità di possederla”. Cosa molto impegnativa nella nostra società dei consumi, dove “tutto esiste per essere comprato, posseduto e consumato, anche le persone”. Qui il Papa introduce un altro termine per definire la carità, quello della “tenerezza”. “Ci porta a vibrare davanti a una persona con un immenso rispetto e con un certo timore di farle danno o di toglierle la sua libertà. L’amore per l’altro implica tale gusto di contemplare e di apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, che esiste al di là dei miei bisogni. Questo mi permette di ricercare il suo bene anche quando so che non può essere mio o quando è diventato fisicamente sgradevole, aggressivo o fastidioso”. Dopo aver dissertato sul significato della verginità, che non va interpretata come una vocazione superiore ma con il suo “valore simbolico dell’amore che non ha la necessità di possedere l’altro” e richiamo alla “prospettiva dell’amore definitivo a Cristo, come un cammino comune verso la pienezza del Regno”, il capitolo si conclude con una riflessione molto importante sulla “trasformazione dell’amore” perché “il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese”. L’aspetto fisico muta e l’attrazione amorosa non viene meno ma cambia: il desiderio sessuale col tempo si può trasformare in desiderio di intimità e “complicità”. “Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità”.

don Francesco Zenna