Cittadinanza alla felicità

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LO SGUARDO PASTORALE

Cittadinanza alla felicità

È stata pubblicata l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia. Sono tanti i passaggi che affrontano con un respiro nuovo la delicata e complessa materia dell’amore, della sessualità, del matrimonio.

Ciò che giganteggia già nel titolo è la piena cittadinanza data alla felicità nell’esperienza dell’amore umano. Non possiamo negare che essa è stata vista con sospetto, soprattutto quando aveva delle attinenze con il piacere sessuale. Il Papa afferma serenamente che la Chiesa, sui temi della morale familiare, deve fare “autocritica” perché si è mossa rendendo l’ideale del matrimonio come qualcosa di granitico, irraggiungibile, lontano, slegato dal piacere sessuale e dalla relazione fra le persone. E questo ha fatto sì che chi si incamminava sulla via del matrimonio venisse gravato di pesi eccessivi.

La famiglia, il matrimonio, l’amore, sono percorsi che mettono in cammino, che non debbono essere necessariamente perfetti fin dall’inizio. Centrali nell’economia del testo sono il quarto capitolo dell’esortazione apostolica, che si propone come una sorta di manualetto di educazione all’amore coniugale, muovendo dall’Inno all’amore di San Paolo, e il precedente terzo capitolo in cui il Papa definisce la sessualità coniugale “un dono di Dio”.

Vi si legge una teologia liberante, vicina al vissuto, come vicini al vissuto sono stati l’insegnamento e l’esperienza di Gesù nei confronti della famiglia. Ed è a questa teologia che si collega il tema della fecondità e della generatività dell’amore. Il discorso è prettamente pastorale. Il Papa, nel mettere in dialogo pastorale e diritto, introduce un principio basilare: la verità non è astratta, ma si integra nel vissuto concreto – umano e cristiano – di ciascun fedele. L’obiettivo è chiaro: “inculturare” il Vangelo nell’oggi, perché sia significativo e raggiunga tutti, “inculturare” i principi generali affinché possano essere compresi e praticati. Papa Francesco l’aveva spiegato in modo efficace nella Evangelii gaudium, quando chiedeva di «essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva». Tutto ciò, in materia di pastorale familiare, richiede tre atteggiamenti di fondo che si completano e si richiamano a vicenda: discernimento, accompagnamento e integrazione. E non è un caso che in cima ci sia proprio il discernimento.

È un metodo di lettura della storia e di progettazione pastorale. Il discernimento spirituale, sintetizzava papa Francesco nell’intervista rilasciata a La Civiltà Cattolica nel giugno del 2013, «cerca di riconoscere la presenza dello Spirito di Dio nella realtà umana e culturale, il seme già piantato della sua presenza negli avvenimenti, nelle sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali». Discernere, in altre parole, è un’esigenza reale della comunità cristiana nella sua multiforme presenza nella società. Discernere non per dividere, ma per unire ed edificare sempre più una Chiesa madre, che non ha paura di mangiare con il figlio peccatore, che vede i problemi e che aiuta a guardarli alla luce del Vangelo. Una Chiesa che conosce e parla il linguaggio della misericordia, il solo in grado di dare risposta al desiderio di salvezza che c’è nel cuore di ogni persona.

don Francesco Zenna