Colpa dell’individualismo possessivo

Giuseppe-Savagnone
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LO SGUARDO PASTORALE

Colpa dell’individualismo possessivo

Il disegno di legge “Cirinnà” sta suscitando diverse polemiche a livello politico, sociale e religioso. Propone di introdurre anche in Italia una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e una disciplina delle convivenze anche eterosessuali. All’interno di questo disegno la materia che divide maggiormente riguarda la possibilità dell’adozione di figli da parte delle coppie omosessuali. Mi chiedevo se è pastoralmente possibile formulare un giudizio chiaro sulla questione e offrire delle indicazioni sugli atteggiamenti da tenere. Come riproporre e difendere l’istituto della famiglia? Quale significato dare al “Family day” previsto il 30 gennaio in piazza San Giovanni a Roma? È possibile individuare il punto debole di tutta la questione, che si è imposta politicamente negli altri paesi europei, in maniera inarrestabile, pur continuando a interrogare a livello etico le coscienze di credenti e non credenti?Ho letto un’interessante riflessione di Giuseppe Savagnone (nella foto), attualmente docente di Dottrina sociale della Chiesa preso il Dipartimento di Giurisprudenza della Lumsa di Palermo, direttore dell’Ufficio per la cultura della stessa Diocesi, pubblicista, relatore a numerosi convegni ecclesiali.

Egli analizza la cultura che sta dietro la grande maggioranza delle unioni, religiose o civili, che si celebrano nel nostro paese. E non teme di stigmatizzare quel pensiero liberale che gli studiosi chiamano “individualismo possessivo”. Il singolo ritiene di avere una identità autonoma, indipendente dagli altri, per cui è libero di fare ciò che vuole. Il modello è il diritto di proprietà: ognuno – diceva uno dei padri di questa concezione, John Locke – è se stesso in quanto è proprietario del proprio corpo, delle proprie facoltà mentali, del proprio lavoro e dei frutti di questo lavoro. Questo varrebbe anche nei confronti dei figli, derivazione diretta del nostro corpo. E poiché questo diritto è assoluto, quando due soggetti decidono di sposarsi quella che si costituisce è solo una “società per azioni”, in cui ognuno resta proprietario di se stesso e perciò libero di recedere quando le sue insindacabili scelte lo porteranno a preferire investimenti più vantaggiosi della sua persona e della sua vita. La soluzione migliore è ormai, agli occhi di molti, non sposarsi neppure, ma convivere, all’insegna del motto: «Stiamo insieme finché stiamo bene insieme». È la logica del mercato, subentrata a quella, molto più impegnativa, del dono. Quest’ultimo, infatti, è irreversibile. Invece in un contratto mercantile si possono porre delle clausole e rescindere l’accordo. In questo contesto, in primo piano sono i diritti che, sulla scia di quello di proprietà, sono in funzione dell’individuo e delle sue insindacabili esigenze. Nessun legame originario con gli altri. I soli doveri che si hanno sono quelli che si decide di assumersi liberamente. Per questo la nostra è una società senza responsabilità reciproca e senza gratitudine. Si mettono tra parentesi gli obblighi e il debito verso i genitori e verso la comunità di appartenenza; i genitori guardano ai possibili figli come a una estensione della loro proprietà in vista dell’appagamento del proprio bisogno di genitorialità. Tutto questo è a monte del problema delle coppie e delle adozioni gay: riguarda tutta la nostra società e la cultura a cui essa si ispira. In questo contesto la battaglia contro un disegno di legge è inevitabilmente perdente. Perché i problemi in esso contenuti sono solo l’estremo frutto di una mentalità che non riguarda solo la famiglia arcobaleno, ma il modo di intendere la famiglia e, più in generale, i rapporti umani. Finché non si rimetterà in discussione il modello dell’individualismo possessivo, dominante nel neocapitalismo globalizzato, la logica unilaterale dei diritti farà considerare oscurantista ogni opposizione e prima o poi la supererà. È necessaria una rivoluzione culturale che ripensi l’identità personale come implicante la relazione all’altro, la libertà come inscindibile dalla responsabilità, la proprietà come finalizzata all’uso comune. E questo va al di là del problema della famiglia, perché coinvolge tutta la dimensione comunitaria, a livello economico, sociale e politico, non solo nell’ambito nazionale ma anche in quello planetario. Così come va al di là delle divisioni tra credenti e non credenti. I problemi derivanti dalla crisi della dimensione comunitaria – di cui quella della famiglia è un’espressione sintomatica – sono sotto gli occhi di tutti e sono presenti anche nelle nostre comunità cristiane. È il momento di affrontarli andando alla loro radice. È questo uno degli impegni per una nuova evangelizzazione.

don Francesco Zenna