Ha seminato serenità e letizia

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Don SErgio benvegnù ci ha lasciato in fretta

Ha seminato serenità e letizia

Avrebbe compiuto 79 anni nel prossimo gennaio, ma non li dimostrava. Fino a qualche settimana fa lo si vedeva in Curia, al suo posto di cancelliere, fedelissimo fino al giorno del suo ricovero. Soltanto negli ultimi giorni comparvero nel suo volto i segnali di una situazione inquietante, anche se nel suo spirito era presente una grande forza.

Fu ricoverato per il gonfiore ad una gamba e per il persistente alto livello del diabete, che curava ormai da anni. Nessuno sospettava che un male atroce lo stava consumando e che in poco tempo l’avrebbe ghermito. I medici che diagnosticarono il male non sospettavano che fosse così aggressivo, tanto che negli ultimi giorni si parlava anche di dimissioni dall’ospedale. Proprio in questa fase l’assalto del male fu talmente impetuoso che in breve tempo don Sergio entrò in coma.

Il cappellano l’aveva preparato con il sacramento degli infermi, i medici lo seguivano costantemente e lui, intelligente com’era, sapeva senz’altro leggere tra le righe delle parole pronunciate al suo capezzale, e pensiamo che fosse conscio di non trovarsi lontano dal traguardo.

Noi ci auguriamo e desideriamo pensare che al traguardo egli sia giunto facendo sì che fosse dominante la speranza sulla paura, la gioia espressa dal salmo 122: “Mi sono rallegrato per ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore”.

Tutto fa pensare che della sua vita la maggior parte degli avvenimenti, degli incontri e anche delle difficoltà e delle sconfitte, abbia beneficamente contribuito ad edificare in lui la solida speranza di cui parla l’apostolo (cf. Rm 8, 23).

Io ho vissuto con lui i felici anni del seminario: tra noi egli si distingueva per il suo carattere ilare e gioioso, che avrebbe conservato poi per tutta la vita.

Bello era in lui il fatto che faceva confluire in una vena salace di ironia, anche di autoironia e di umorismo, le varie situazioni della vita fino a sdrammatizzarle.

Esercitò il ministero sacerdotale in molte parrocchie: fu dapprima cappellano a S. Giacomo in Chioggia; poi fu mandato a Roma, dal vescovo Piasentini, come cappellano militare e di quei 4 anni di servizio conservò per tutta la vita un tratto militaresco e autoritario.

In seguito, assistito amorevolmente dai suoi genitori e da una zia, fu parroco a Pettorazza Papafava, a S. Antonio di Pellestrina, a S. Bartolomeo di Porto Viro e alla B. Vergine di Lourdes a Sottomarina. Dovunque lo ricordano con tanta simpatia ed affetto.

A Borgo S. Giovanni, dove esercitò negli ultimi anni il ministero del confessionale, i fedeli ricordano la sua assiduità e la sua amabile accoglienza.

Don Sergio entrò in Curia vescovile nel 1996 come addetto all’ufficio matrimoni, passò poi in economato e quindi in cancelleria, quando io lasciai l’ufficio per altro incarico. Lavorammo insieme per una dozzina di anni, fianco a fianco: sono stati anni felici, come lo erano stati gli anni di seminario.

Per due mandati, cioè per 10 anni, ricoprì l’incarico di presidente del capitolo della cattedrale: bisogna riconoscergli il merito della fedeltà al coro anche in periodi per lui molto scabrosi: per parecchio tempo, al mattino, doveva accudire alla zia ormai anziana e non più autosufficiente.

Durante il lavoro comune in Curia non sono stato capace di convincerlo ad usare la macchina da scrivere e tanto meno il computer; aveva nei confronti di quest’ultimo una vera idiosincrasia.

Ed era umiliante per lui dover ricorrere da qualche amico per farsi scrivere i decreti o altri scritti importanti.

Sono sicuro che in Paradiso non avrà più bisogno di tali strumenti e guardando il nostro affannarci con i moderni congegni sorriderà ormai beato in Dio.

don Alfredo Mozzato

Nel segno della misericordia

Guardo i volti, in gran parte conosciuti: uomini e donne di varie età, alcuni piuttosto giovani; qualcuno tornato apposta dalla città universitaria per partecipare al funerale. Tante persone sono venute in Cattedrale per accompagnare don Sergio nell’ultimo viaggio fino alla Casa del Padre. Per anni lo hanno avuto come confessore nella Chiesa di Borgo San Giovanni. Si sono sentite accolte, libere di esprimersi, sicure di essere perdonate. Spesso le vedevo uscire dal confessionale con un sorriso, se non proprio con un moto di riso. Don Sergio le congedava con una battuta e la vita poteva ricominciare. La sua morte e il suo funerale – sopravvenuti con sorprendente velocità – si sono sovrapposti all’apertura della Porta Santa in Cattedrale. Don Sergio, da pari suo, ha rilanciato quella Misericordia che aveva già particolarmente segnato un lungo tratto della sua vita sacerdotale.

don Angelo Busetto