Al capezzale della terra

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Lo sguardo pastorale

Al capezzale della terra

La nostra terra è malata. “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”. Sono parole di Papa Francesco che, con l’ormai prossimo Giubileo della misericordia, ci domanda anche una conversione ecologica. Allora mentre i grandi della terra, riuniti in meeting a Parigi, fanno “mea culpa” in riferimento all’enorme danno provocato al clima a causa del surriscaldamento globale, noi non possiamo restare spettatori passivi ma individuare i comportamenti con cui collaborare responsabilmente a un’inversione di tendenza. Si contano 196 delegazioni presenti al summit, tra cui 147 capi di stato e di governo; le persone scese in piazza nel weekend della scorsa settimana in tantissimi paesi del mondo sono stimate in 785.000 unità. Cosa vuol dire? Che il problema è sentito e la volontà di porci rimedio accomuna culture, religioni, blocchi politici e ideologici nella basilare comune matrice di abitanti di questo meraviglioso e maltrattato pianeta. Pastoralmente è doveroso domandarci: Ne abbiamo parlato nelle nostre assemblee liturgiche? Nella Giornata del Ringraziamento, abbiamo ripreso il tema suggerito dalla Commissione per la pastorale sociale e del lavoro: “La terra, bene comune della famiglia umana”? Introducendo i fedeli al Giubileo straordinario abbiamo ricordato che la tradizione giubilare ha le sue radici nell’anno sabbatico del popolo ebraico che imponeva di far riposare la terra ogni sette anni e di lasciare i frutti spontanei anche ai poveri e ai forestieri? La terra è di Dio e gli Israeliti sono solo ospiti e affittuari.

La terra non dev’essere sfruttata fino all’estremo, in modo che abbia sempre qualcosa da dare alle generazioni future. Nessuno ha il diritto di saccheggiare la natura, essa va rispettata anche nei suoi tempi di ricarica energetica. È la prima legislazione ecologica della storia antica. È suggestiva l’immagine con cui il profeta Baruc annuncia l’avvento del Messia: “Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio”. Possiamo partire da qui per far risuonare il monito del Battista, che riprende l’immagine del profeta, come un impegno alla conversione globale, anche a quella ecologica. Possiamo indicare anche dei percorsi concreti: la parsimonia nell’uso dell’acqua, la preferenza dei prodotti confezionati con materiali riciclabili, il taglio netto nell’uso della carta per scongiurare la scomparsa delle foreste, la diminuzione dell’uso della macchina per contenere il più possibile l’immissione di CO2, ma anche il consumo di prodotti del commercio equo e il contenimento dello spreco. Fughiamo la preoccupazione che queste tematiche non abbiano attinenza con la predicazione del Vangelo. Nell’ultimo capitolo della Laudato si’ Papa Francesco detta “alcune linee di spiritualità ecologica”, perché – egli afferma – “la spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda”. A livello diocesano stiamo leggendo insieme questa Enciclica. La nuova evangelizzazione passa anche attraverso il coraggio di misurarsi con queste problematiche non solo con linguaggi allarmistici e colpevolizzanti, ma con esperienze concrete di cultura ecologica cristianamente ispirata.                                                 don Francesco Zenna