Il culto tra fede e tradizione

tutti-i-santi
Facebooktwitterpinterestmail

SOLENNITà DI TUTTI I sANTI E COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI.

Il culto tra fede e tradizione

Domenica 1° novembre ricorre la solennità di Tutti i Santi, (vedi foto) mentre il seguente giorno 2 avremo la commemorazione dei Fedeli defunti. La chiesa cattolica, fin dalle origini, considerò il martirio come massima espressione della santità e suprema prova dell’amore, mentre dal secolo V anche i santi non-martiri furono accolti nei calendari romani ed ebbero nella Città eterna le loro chiese, con annessi i monasteri. La solennità di Tutti i Santi viene dalla Chiesa Orientale e fu accolta a Roma quando il papa Bonifacio IV il 13 maggio del 609 trasformò il Pantheon – dedicato a tutti gli dei dell’antico Olimpo – in una Chiesa in onore della Vergine dei Martiri e di tutti i Santi. Papa Gregorio IV (828-844) richiese, poi, al re franco Luigi il Pio di ufficializzare questa celebrazione come festa e di fissare la sua data il 1° di novembre di ogni anno. Figurano varie interpretazioni sul perché si sia scelto proprio tale giorno per ricordare tutti i Santi della cristianità. Alcuni studi antropologici fanno notare una certa continuità temporale con la festa celtica di “Samhain”, da cui ha avuto origine l’attuale “Halloween”. La commemorazione dei Fedeli defunti è dovuta, invece, a Sant’Odilone, abate di Cluny, alla fine del primo millennio. Per la vita eterna, San Paolo ammonisce: “Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà la vita eterna”. Di conseguenza, per chi è stato dalla parte dell’Amore – e Dio è Amore – la morte sarà una rinascita meravigliosa, dove ogni lacrima sarà asciugata. Dio Padre ama i suoi figli, si ricorda di loro e li tiene in mano. Non ci abbandona nell’abisso del nulla, ma ci stringe in un abbraccio che fa vivere per il tempo e per l’eternità. Chi ha, invece, cercato violenza e ingiustizia, sarà tragicamente accontentato, soffocato in un mondo di solitudine e paura, al ritmo di un dolore senza fine.

Per queste due ricorrenze, numerose sono le tradizioni presenti in varie Regioni. In Sicilia, è convinzione che durante la notte di Ognissanti i defunti portino dolciumi ai bambini che si sono comportati bene, mentre in Toscana si crede che durante questa ricorrenza i proprietari delle cantine debbano offrire un boccale di vino ai poveri. In Friuli Venezia Giulia si tiene, invece, una candela accesa, una bacinella d’acqua e un pezzo di pane a disposizione dei morti, qualora tornino dall’aldilà, mentre in Trentino Alto Adige si suonano le campane delle chiese per richiamare le anime dei defunti. A loro disposizione viene anche lasciata una tavola imbandita di ogni genere di vivande. Nel territorio di Chioggia, infine, nella sera del 1° novembre, nessuna barca da pesca osava avventurarsi in mare, forte la credenza che si sarebbero viste galleggiare nell’acqua miriadi di fiammelle, tante quante i pescatori scomparsi tra i flutti. La sera precedente la solennità di tutti i Santi, il 31 ottobre, invece, le donne di Chioggia non lavoravano di cucito. C’era la convinzione che l’uso dell’ago – di forte valenza scaramantica – avrebbe impedito agli “angioletti” – i bambini morti di pochi mesi se non di pochi giorni – di partecipare alla processione dei Santi in Paradiso. Ricordiamo che in tali giorni nelle abitazioni di Chioggia si assaporavano “le favéte da mòrto”, un dolce preparato con zucchero, uova e pasta di mandorle, che veniva confezionato nel tipo veneziano e in quello triestino, mentre alla servitù venivano regalati fagioli e fave essiccate. A Sottomarina, invece, le famiglie ortolane distribuivano i “fromentóni”, granoturco lessato, ai bambini e ai poveri. Sempre per “i mòrti”, le famiglie benestanti regalavano ai maestri dei loro figli un sacchetto di zucchero, una bottiglia di vino novello, una zuppiera contenente i “sugoli”, la marmellata di succo d’uva nera, con farina, cannella e cioccolato oltre all’immancabile “suca baruca”, una zucca di Chioggia.

Giorgio Aldrighetti