PAROLA DI DIO – Prese a seguirlo per la strada

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Letture: Ger 31,7-9; Salmo 125; Ebr 5,1-6; Mc 10,46-52

PAROLA DI DIO – Prese a seguirlo per la strada

In questa giornata nelle chiese consacrate della nostra Diocesi si celebra “L’anniversario della Dedicazione della propria chiesa”. Propongo di usare l’Eucologia (preghiere e prefazio) di questa messa ma di seguire il Lezionario della corrente domenica.

Ger 31,7-9. “Il Signore ha salvato il suo popolo”.

Gli oracoli dei capitoli 30-31 del libro del profeta Geremia sono annunci di speranza, di promesse di ricostruzione e di rinnovamento dell’alleanza, rivolti a un popolo parte del quale aveva subito la deportazione e la gran parte rimasta da quasi un secolo andava subendo devastazione e soprusi. Nuovi eventi politico militari lasciavano ora presagire la caduta del regime persecutorio. Il pio Giosia, re di Gerusalemme, aveva dato inizio a una riforma religiosa e politica che lasciava sperare in una riunificazione di tutto il territorio d’Israele attorno alla città e al tempio di Gerusalemme. In questo clima di speranza, il profeta Geremia si reca tra la popolazione di Samaria a rincuorare e a invitare alla ‘conversione’, cioè a ritornare tutti insieme all’obbedienza al Dio dell’Alleanza del Sinai. Il breve passo scelto (31,7-9) è parte di un oracolo (31,2-14) che richiama l’amore e la fedeltà di Dio per il suo popolo: “Ti ho amato di un amore eterno, per questo continuo ad esserti fedele” (31,3). Quell’amore eterno delle origini è garanzia che Dio tornerà a salvare il suo popolo e a ristabilire il patto d’amore che Israele ha violato: “Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto d’Israele”. Ritorneranno i rapporti di appartenenza e comunione: “…Io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito”. Come la liberazione dall’Egitto era stata il segno dell’amore di Dio per il suo popolo, così ora lo sarà il loro ritorno dai luoghi della deportazione. Da ciò la lode del popolo per il suo Dio: “Innalzate canti di gioia…, esultate…, fate udire la vostra lode”, soprattutto la lode dei più poveri e disagiati “il resto d’Israele, il cieco, lo zoppo, la donna incinta e partoriente”.

Salmo 125. “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”.

Un salmo nato dall’esperienza di chi ha vissuto l’esilio. Avvenimenti politici inattesi aprono orizzonti insperati, quasi un sogno: la possibilità di rientrare nella propria terra, Gerusalemme: “Ci sembrava di sognare… la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia”! È là che unisce Salvatore e salvati, la gioia profonda che nasce dal riconoscere che Dio è all’opera nell’adempiere le sue promesse. Come sono letti gli avvenimenti storico-politici? “Tra i popoli si diceva: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”; e Israele: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia”.

Il v. 4 è una supplica: “Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb”. Salvezza e liberazione riprendano il loro corso, come i fiumi del deserto del Negheb, dopo la secca dell’estate, riprendono a scorrere al ritorno della pioggia. L’alternanza delle stagioni ispira una lettura della storia della salvezza: le fatiche del momento sono spesso condizione nella quale si prepara la gioia futura. Ci vuole la fatica della semina perché possa seguire la gioia del raccolto! Il crogiuolo dell’esilio ha preparato una maggiore disponibilità e consapevolezza verso la fedeltà del Signore.

Ebr 5,1-6. “Tu sei mio Figlio… Tu sei sacerdote per sempre”.

Continua il confronto tra il sacerdozio antico e quello di Cristo. Il sacerdozio istituisce un legame doppio di solidarietà tra gli uomini e il sacerdote, in quanto “scelto fra gli uomini e per gli uomini… per offrire doni e sacrifici per i peccati”. Il sacerdote è in grado “di sentire giusta compassione per gli uomini”, in quanto anche lui bisognoso di perdono come loro. Il sacerdozio non è conquista dell’uomo per innalzarsi sopra gli altri ma è dono di Dio che pone il chiamato a servizio degli uomini. Così è stato di Gesù Cristo; Egli non attribuì a Se stesso la dignità di sommo sacerdote, ma fu costituito sacerdote da Dio stesso, e come descrivono i versetti successivi, non previsti dalla pericope liturgica, l’autore descrive la partecipazione drammatica di Cristo alla condizione umana, descrive la sua offerta e l’effetto che tale offerta ha operato: essa ha fatto di Cristo il sommo sacerdote perfetto, divenendo così causa di salvezza eterna per tutti quelli che nella fede aderiscono a lui.

Mc 10,46-52. “Riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada”.

Siamo a Gerico, l’ultima sosta del pellegrinaggio di Gesù e della comitiva con la quale egli saliva a Gerusalemme per la pasqua. È venerdì sera e si fa sosta per tutto il sabato. L’indomani “mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla…” ecco che un tale Bartimeo, il solito cieco che sta seduto sul margine della strada a mendicare, sente la gente parlottare con una certa meraviglia di Gesù di Nazareth. Intuisce che doveva proprio essere lì in mezzo a loro. Comincia allora a invocarlo ad alta voce: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Quel titolo “Figlio di Davide” evoca attese di salvezza e di liberazione. Quell‘ “abbi pietà di me” è invito a chinare il suo sguardo di compassione verso di lui per offrirgli quello che poteva. Quelli in cammino con Gesù cercano di impedire l’invocazione di fede e di speranza di quel poveraccio. La speranza del cieco però è tanta che, di fronte ai rimproveri con i quali volevano farlo smettere, grida ancora più forte. Gesù invita proprio chi gli sta intorno a far avvicinare quel mendicante. Imparata la lezione, i discepoli cambiano tono e atteggiamento: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. La gioia e la speranza si trasformano in un balzo con il quale il cieco si porta davanti a Gesù, abbandonando per terra il mantello che gli copriva le spalle e sul quale stava. “Cosa vuoi che io faccia per te?” chiede Gesù. La fede del cieco si fa coraggiosa e non si ferma a chiedere l’elemosina, ma diventa invocazione di guarigione: al ‘Figlio di Davide’ si poteva chiedere ben di più della solita elemosina. “Che io riabbia la vista”! E Gesù va ancora oltre quella richiesta: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Segue la conclusione: “E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. La richiesta di guarigione dalla cecità fisica ha avuto una conclusione inattesa: all’inizio avevamo un uomo cieco, isolato e seduto sul margine della strada, alla fine abbiamo un uomo in piedi, in mezzo alla gente, che ora vede chiaramente soprattutto chi è Gesù e che si mette al suo seguito, ‘sulla strada’, che sale Gerusalemme. È nato il discepolo, un uomo che grazie alla fede in Gesù è stato liberato e ‘salvato’.                                                                                                                     + Adriano Tessarollo