Responsabilità agli sposi

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LO SGUARDO PASTORALE

Responsabilità agli sposi

La 14ª Assemblea Generale del Sinodo dei vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” si riunirà dal 4 al 25 ottobre 2015. Se ne parla da due anni, data l’attualità del tema e in seguito alla decisione di Papa Francesco di giungere a questa assise confortati dall’ascolto di tutto il popolo di Dio. Allo scopo sono stati diffusi due questionari, il primo del 2014 molto discusso e il secondo di quest’anno un po’ meno conosciuto e dibattuto. Notizie, commenti, approfondimenti si sono concentrati su alcune questioni relative all’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati e al riconoscimento delle unioni civili o di fatto. In realtà la Relazione del Sinodo straordinario dello scorso autunno e lo Strumento di lavoro del prossimo spaziano su tutta la teologia e la pastorale dell’istituto familiare, offrendo riflessioni spirituali e indicazioni giuridiche di grosso spessore. Ancora una volta questa grande ricchezza è rimasta appannaggio di pochi, quelli veramente interessati a conoscere il pensiero della Chiesa od obbligati dal ruolo, ma la comunità di base si è fermata alle sollecitazioni offerte dai mass media. La ragione è duplice, riguarda i pastori con i loro collaboratori, e i fedeli laici. I pastori non sono adeguatamente preparati. Raramente, a conclusione dell’iter istituzionale, si dedicano allo studio personale, all’aggiornamento e alla ricerca delle risposte da dare alle sfide lanciate da una cultura che costantemente si rinnova. I fedeli, anche quelli direttamente coinvolti, non sanno trovare il tempo per affrontare queste problematiche con un minimo di competenza e obiettività. Si fossilizza così un quadro di rapporti ritenuto ormai cronico: la rigidità dei principi da una parte e il “fai da te” dall’altra, l’incapacità di ascoltare la storia delle persone con le loro sofferenze e fragilità da una parte, e, dall’altra, la convinzione che sia possibile ogni riduzione morale perché sanzionata dal costume.

La ricaduta pastorale di una simile analisi risulta quanto mai chiara. Volendola approfondire ulteriormente mi rifaccio al pensiero del prof. Giovanni Cereti, che nel 2013 ha rieditato un saggio Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, in cui sottolinea l’importanza della ministerialità degli sposi, per cui sono loro, in quanto ministri del matrimonio, ad essere responsabili di custodire il loro amore e la loro volontà di essere per sempre marito e moglie. Richiamando la prassi penitenziale dei primi secoli, e il canone 8 del Concilio di Nicea, arriva ad affermare che se “amore e volontà di restare coniugi vengono meno, il segno sacramentale è corrotto e viene distrutto, e a rigore di logica si deve dire che viene meno il vincolo coniugale e la grazia del sacramento” (Vita Pastorale 8/2015 pag. 63). La responsabilità degli sposi diventa così unica e insostituibile, le loro scelte e lo sviluppo della reciproca donazione determinano la riuscita del loro matrimonio, e, d’altro canto, le fragilità umane che li portano a non onorare sempre la parola data diventano un grave peccato che ferisce le persone e la famiglia nel suo insieme. Certo, è qui, magari nella consapevolezza di avere sbaglato nella scelta del coniuge, che viene invocata la grazia del perdono e che si può pensare ad un percorso penitenziale anche pubblico di recupero, perché la misericordia di Dio è più grande dell’infedeltà dell’uomo.

Su questi affondi teologici si pronuncerà il Sinodo, ma alla loro luce si staglia esigente una programmazione pastorale che metta in primo piano la formazione dei giovani al dono d’amore, che evangelizzi il sacramento del matrimonio in tutta la sua valenza esistenziale, che accompagni le famiglie non solo all’educazione cristiana dei figli ma prima ancora a dare una seria risposta alla loro specifica vocazione. Non possiamo negare che nel preparare la celebrazione del matrimonio ci siamo limitati fino ad ora a soddisfare le esigenze giuridiche e lo stesso cosiddetto “corso” o “percorso” è entrato a far parte di queste esigenze, tant’è che è sufficiente una certificazione. Nell’avviare il nuovo anno pastorale nelle nostre parrocchie non possiamo limitarci soltanto a organizzare le “classi” o i “gruppi” di catechismo, ma interroghiamoci con il Consiglio pastorale sulle modalità con cui è possibile intercettare la responsabilità degli sposi e farsi loro prossimi nella meravigliosa delicatissima avventura dell’amore.

don Francesco Zenna